La storia è tratta dal bellissimo romanzo omonimo di Pascal Quignard e la resa cinematografica, pur rimanendo fedele al testo, ne esalta e amplifica la validità. Tanti sono gli aspetti filosofici affrontati nel film ma indubbiamente quelli della vacuità delle ambizioni umane e del valore terapeutico nonché “religioso” dell’arte sono tra i più marcatamente elaborati. L’opera è un omaggio alla musica francese del XVII e XVIII secolo (in particolare quella del misterioso Monsieur de Sainte Colombe, del suo allievo Marin Marais e di Jean Baptiste Lully), eseguita dall’immenso talento di Jordi Savall, oltre che una straordinaria lezione di filosofia, di morale e di arte.
La vicenda è incentrata sul conflitto, proprio di ogni artista, tra l’ambizione umana, la brama di successo e la propria interiorità, la creazione fine a se stessa. Nel film, come nel romanzo, il tema di tale conflittualità sembra richiamare alla memoria quello molto sovente presente nella religiosità estremo-orientale e la figura di Monsieur de Sainte Colombe, ritiratosi nel suo eremo di arte e spiritualità non può non ricordare i numerosi artisti che in Giappone preferirono l’anonimato di un’arte intesa come intimo processo meditativo piuttosto che gli sfarzi di una gloria effimera quanto superficiale.
Danilo Giorgi
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