"Ogni lettore ha il diritto di non finire un libro" (Daniel Pennac). Mutatis mutandis anche ogni spettatore gode dello stesso sacrosanto diritto.
Chi scrive ha inconsapevolmente esercitato il diritto in questione alcuni anni orsono quando, in una sala striminzita ma sin troppo gremita del Greenwich di Roma, avvertì un senso di insofferenza misto a frustrazione nel non potersi alzare agevolmente dal proprio posto per sfuggire alla noia generata dalla visione del film.
Arrivato da noi nel 1996, il film narra la storia di un giovane (Hossein) il quale viene chiamato dal regista iraniano a sostituire l’attore maschile già selezionato per recitare accanto alla protagonista femminile (Tahereh). Hossein tenterà fino all’ultimo di sedurre la graziosa Tahereh, fuori e dentro il set, senza però riuscirci.
Il film si snoda su un doppio binario in quanto la storia sfortunata della coppia all’interno del film fa il paio con quella altrettanto sfortunata che si sviluppa al di fuori del film. Un film nel film, dunque, in cui tutto si sdoppia, si intreccia, si complica inutilmente e senza alcun appeal per gran parte della platea. Nemmeno quella certa dose di poeticità, che non manca, supplisce al senso di inevitabile impotenza che genera la sua visione. Il godimento intellettuale, che a tratti sembra cogliersi nella trama, si risolve così in un mero tentativo verso una destinazione irraggiungibile.
A distanza di anni quella sensazione si affaccia ancora, prepotentemente, ogniqualvolta un’opera anziché coinvolgere sollecita una percezione esattamente contraria e straniante. E, fortunatamente, in tali circostanze, il buon Pennac viene, questa volta consapevolmente, in rapido soccorso impedendo sul nascere l’innescarsi di qualche, anche solo blando, senso di colpa.
AleLisa
Da quello che ricordo ho visto anch'io questo film al cinema anni fa e ho provato un'analoga sensazione di scarso coinvolgimento...non ho poi mai approfondito il regista e quindi oggi non saprei...magari rivedendolo sarebbe diverso, chissà...
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