La difficoltà delle relazioni familiari (e più in generale umane) nel mondo d’oggi trova in "Troppo Amici" una narrazione all’insegna di una comicità vivace e coinvolgente, incentrata sul protagonista Alain, padre di famiglia nevrotico ed inadatto ad un ruolo in cui si trova a lottare ad armi impari sia con l’iperattività del figlio Lucien che con l’eccessivo attaccamento della moglie Nathalie al fratello Jean-Pierre e alla sorella Roxane. La separazione inevitabile tra i coniugi porta a seguire le vicende di tutti i personaggi - tra cui segnaliamo in particolare il medico Bruno, fidanzato incerto dell’emotiva Roxane - scandite da difficoltà economiche, aspirazioni frustrate e disturbi del comportamento sociale, problematiche affrontate e infine superate grazie a quella condotta morale da “cozze attaccate ad uno scoglio” propria dei tre fratelli, contestata aspramente da un Alain che è però costretto da parte sua ad intraprendere un percorso di analisi del proprio ego narcisista e a scoprire il valore dell’altro e della pratica concreta della solidarietà, vissuta ed attuata nel quotidiano dalla moglie e dai cognati.
Alcune divertenti trovate narrative come l’interazione con dei gruppi ebraici e induisti hanno il merito di rimarcare, all’interno di un registro fortemente comico, il valore concreto della tolleranza attuata nell’ambito del familiare e dei rapporti affettivi. Nevrosi ed iperattività rappresentano due modalità di rifiuto della realtà che accomunano sia il padre Alain che il figlio Lucien e che trovano uno sbocco positivo nella condivisione della sfera del sogno e dell’immaginario: il palcoscenico su cui il figlio ormai adulto invita il padre a comparire (rimarcando il suo ruolo mitico svolto nel passato come animatore nei villaggi vacanze nei panni del personaggio di “Pipo”) non vuole certamente solo regalare allo spettatore un momento sentimentale e facilmente commovente ma fornirci uno spunto di riflessione su un’alternativa all’annichilimento del proprio ego nell’avvicinamento all’altro. Tale alternativa è chiaramente offerta dalla positività del “non luogo”, dell’utopia intesa come sfera di espressione artistica (nella fattispecie il palcoscenico) adatta a rappresentare - nel libero sfogo della creatività “rivelatrice” dell’attore - le contraddizioni irrisolte e le pecche personali di un’umanità contemporanea che l’affermazione dell’amicizia e della solidarietà, pur indispensabili, non riesce a guarire definitivamente.
Alessandro Manna
Interessante!
RispondiEliminaTrovo anch'io molto interessante il taglio esistenziale che Alessandro ha dato a questa recensione. Per me è stato un film abbastanza divertente, giocato su una comicità semplice ed immediata...all'inizio ti scaraventa nel malessere e nella confusione interiori espressi dai protagonisti, poi pian piano traccia una strada di ricomposizione umana ed emotiva.
RispondiEliminaRitengo particolarmente incisivo il passo dell'articolo sul palcoscenico come luogo di catarsi individuale e collettiva, pur dissociandomi affettuosamente dalla nota pessimistica finale :) La stessa scena del teatro può essere interpretata anche come allusiva all'effetto del film sullo spettatore...in un modo o nell'altro il tema che emerge è proprio quello dell'arte che aiuta a vivere ed in tal senso "Troppo amici" rientra a mio avviso tra quelle opere che possiedono una valenza costruttiva. Lo scioglimento dei conflitti avviene in modo forse un po' troppo sbrigativo e consolatorio ma, stando al gioco delle convenzioni del genere (commedia comica alla francese), si può comunque trarre dalla vicenda un messaggio che offre diversi spunti di riflessione.