Con "Habemus
Papam" Nanni Moretti racconta una storia incisiva che propone diversi argomenti interessanti. Il film si apre con il conclave che deve eleggere il nuovo Papa:
l’asciuttezza stilistica ed il rigore quasi geometrico delle inquadrature
restituiscono la percezione di un altrove dell’immaginario connotato da una
ieratica compostezza che giunge fino all’astrazione. Ma questo incipit
contrasta con il registro stilistico successivamente adottato, che umanizza
pian piano gli esponenti del sistema gerarchico vaticano già a partire dai
momenti dedicati al voto. E, da quando il neoeletto Papa entra in crisi sotto
il peso della responsabilità del suo ruolo, lo spettatore si trova a seguire un
doppio binario narrativo: da una parte le traversie del Pontefice che fugge
alla ricerca della sua vocazione umana; dall’altra l’attesa dei cardinali ai
quali si aggiunge lo psicoanalista interpretato da Moretti.
La vicenda del protagonista (che, dopo
una vita passata nella Chiesa, a settant’anni esce dall’istituzione per ricominciare
da capo, sulle tracce del suo dimenticato interesse per il teatro) ricorda
molto da vicino quella di alcuni personaggi di Hermann Hesse, in primis il
Magister Ludi Josef Knecht de "Il gioco delle perle di vetro". Ed è
questo messaggio umano l’aspetto più profondo del film, al di là delle
possibili chiavi di lettura "ideologiche", che comunque non vanno escluse. I momenti dedicati al Papa errabondo sono infatti quelli in cui
l'opera trova il suo respiro più vasto e la sua maggiore forza drammatica, per
merito sia di una scrittura attenta ed intimista che dell’interpretazione di
Michel Piccoli.
D’altro canto i siparietti tra lo
psicoanalista e i cardinali, ambientati fra le mura del Vaticano, assolvono ad
una precisa funzione, quella di descrivere le gerarchie ecclesiastiche in tutta
la loro umanità e fragilità: da chi assume tranquillanti a chi fuma, da chi
gioca a carte a chi vorrebbe fare un giro turistico per Roma, da chi si lamenta
per la colazione a chi non nasconde le proprie ambizioni. Ma quello che può quindi
apparire come un tentativo di mettere in burla i porporati produce viceversa il
risultato (consapevole o meno) di orientare a loro vantaggio (e dell'istituzione
che rappresentano) le simpatie dello spettatore. Nel tratteggiare questo
campionario umano, il film scivola infatti nel bozzettismo e nella caricatura, proponendo
un’immagine dei cardinali vagamente naif e sostanzialmente bonaria. Una tale
rappresentazione risulta scarsamente verosimile se si pensa che si tratta
comunque di uomini di potere che ricoprono un ruolo di rilievo all'interno di
un'istituzione diffusa su tutto il pianeta. Ed anche volendo stare al gioco, la
scelta della tipizzazione colorita del contorno contrasta con l'approfondimento
psicologico a tutto tondo del protagonista: si tratta di due diversi registri narrativi
che non risultano affatto amalgamati ma semplicemente giustapposti l’uno all’altro.
Il sospetto è che tali momenti servano soprattutto ad accattivarsi lo
spettatore, stemperando i toni con un bel po’ di ironia. E non si può dire che
regista e sceneggiatori non siano riusciti nell’intento. In tale contesto anche
il Moretti attore torna a fare il "personaggio" - come in altri suoi film precedenti - ma stavolta si prende
meno sul serio e si esibisce esplicitamente nel ruolo di mattatore, sfoderando
tutto il suo carnet di atteggiamenti ed espressioni tipiche: il risultato,
almeno per chi è avvezzo alla sua maniera, è francamente divertente e in grado
di provocare diverse risate.
E' più che evidente lo sguardo
profondamente laico con il quale viene messa in scena la Chiesa Cattolica, i
suoi esponenti e la sua dottrina. Col rischio di scontentare molti: se la scena di un Papa
che abdica al proprio ruolo può essere di forte impatto emotivo per un
cattolico, gli anticlericali è probabile che trovino eccessivamente buonista il
ritratto delle gerarchie ecclesiastiche. Film non privo di difetti, irrisolto e disomogeneo, che solleva degli spunti di
riflessione ed al contempo alleggersice attraverso sprazzi di comicità,
"Habemus Papam" raggiunge un suo spessore espressivo soprattutto come
rappresentazione - non priva di risvolti lirici - di certe corde dell'animo
umano; nel suo invito a ricominciare anche quando sembra troppo tardi, propone
inoltre un messaggio che può aiutare a vivere.
Pier
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