26 febbraio 2020

FILM al cinema - "Parasite" ("Gisaengchung") e "Memorie di un assassino" ("Sar-in-ui chu-eok") di Bong Joon-ho

(contiene spoiler) 

Il pluripremiato regista coreano descrive alla perfezione la realtà che intende rappresentare, quella della sua terra e di ciò che contraddistingue la sua contemporaneità. Prova ne sono sia Memorie di un assassino (uscito nel 2003) che Parasite (uscito nel 2019), nonostante un discreto intervallo temporale separi le due opere. 
Il registro espressivo si ripete con la stessa precisa intensità e richiede una durata non inferiore alle due ore (senza che lo spettatore se ne accorga, tanto ne viene rapito). Diverse, tuttavia, sono nei due thriller alcune scelte di messinscena. Ambienti dal colore grigio-torbido ed immagini opache in Memorie di un assassino; contesti ben arredati ed illuminati in modo acceso contrapposti ad altri decisamente meno patinati in Parasite. In entrambi i casi gli attori confermano la propria abilità interpretativa grazie al sostegno di una scrittura solida e di una sceneggiatura fluida, dal ritmo calibrato al millimetro fino all’epilogo del racconto. 

In Memorie di un assassino, tratto da una storia vera, viene descritta una Corea del Sud nel pieno del tumulto politico di un'epoca (gli anni ’80) in cui il diritto è soffocato e tutto accade senza che vi sia alcun argine a soprusi, violenze e torture, al punto che i personaggi si muovono in una realtà che sembra totalmente priva di regole. Nessuna norma pare che vi sia a presidio della collettività, sia che si decida deliberatamente di infrangere la legge sia che si scelga, invece, di garantirne il rispetto. Il sospetto su chi sia l’assassino non cede il passo alla soluzione e questo lascia lo spettatore a bocca asciutta. 

In Parasite il racconto – districandosi tra l’assurdo, il grottesco ed il thiriller – fila dritto fino alla fine, muovendosi tra spazi miserrimi ed altri bellissimi, in un costante ed evidente contrasto tra il mondo dei ricchi e quello dei poveri. Questi ultimi sono “brutti, sporchi e cattivi” e danno il peggio di loro nella lotta per la sopravvivenza quotidiana, a scapito anche dei propri simili. Anime piccole e piccoli truffatori, vittime quasi inconsapevoli di una vita grama che spinge a comportamenti niente affatto edificanti in nome del “bene” assoluto, il dio denaro. 
Migliori paiono i ricchi ma solo apparentemente. Lontani dalla quotidianità più diffusa, ossia di chi prende la metropolitana e vive arrangiandosi come può, non hanno alcun aggancio – né intendono averlo – con l’altra parte della realtà, dei cui servizi abusano a suon di denaro, incapaci come sono di attendere ad attività anche elementari. Povertà vuol dire cattivo, detestabile odore ed i soldi tutto consentono perché sono il ferro da stiro che appiana ogni piega della vita. Laddove impera il capitalismo, la ricchezza resta il solo fine a cui aspirare, la meta da raggiungere a tutti i costi nonostante la disuguaglianza e l'alienazione che produce. Ma così nessuno può salvarsi davvero. 

AleLisa

Nessun commento:

Posta un commento