La complessità dell’argomento ha comportato necessariamente un approfondimento bibliografico in ambito psicanalitico, come chiave di comprensione della pellicola, non facile da “sentire” ma intuitivamente efficace per la conoscenza della Noia. L’avventura ne è una magistrale trasposizione cinematografica, il bianco e nero da subito conduce alla memoria visiva dell’inquietudine afinalistica che è la Noia. I personaggi in primo piano (non Claudia e altre figure sullo sfondo) hanno perduto il senso dell’oggetto - semmai ne sia esistito uno - ma vivono un’esistenza “come se” ci sia ancora l’oggetto di senso nelle loro vite, cattedrali dolorosamente vuote nella canicola soffocante di un deserto arcaico. La pellicola ci dice ancora qualcosa. La Noia non si origina nell’Io o nel Tu, ma nello spazio vuoto fra queste due polarità, dove invece dovrebbe sorgere il Noi. In questo spazio vuoto essa alberga sopita, pronta a riemergere ogni volta che il tentativo di riempire quello spazio di un oggetto qualunque fallisce.