10 dicembre 2021

CINEFORUM VIRTUALE - Nuovo articolo su "C'eravamo tanto amati" di Ettore Scola (Italia 1974)

(contiene spoiler)

C'eravamo tanto amati è un film composito, che contiene al suo interno diverse tracce e possibili chiavi di lettura. 

E' innanzitutto un omaggio appassionato al cinema - in primis italiano - con comparsate di Fellini, Mastroianni e De Sica nella parte di loro stessi. 

Si pone inoltre come una sorta di ricapitolazione della grande stagione della commedia all'italiana - soprattutto quella politicamente impegnata e che prende spunto dalla Storia, articolandosi in racconti di decenni, come Una vita difficile (1961) di Dino Risi - omaggiandone la "tradizione" seppur attraverso uno stile innovativo rispetto ai suoi ascendenti, dai tratti quasi "sperimentali": passaggio dal bianco e nero al colore, personaggi che sospendono il tempo narrativo rivolgendosi direttamente allo spettatore, introduzione di scene "fantastiche" in un contesto quotidiano, tutti espedienti cinematografici che rendono esplicito l'artificio della messinscena attenuando intenzionalmente l'immediatezza identificativa dello spettatore per condurlo ad una fruizione filmica che produca contemporaneamente empatia e distacco.

C'eravamo tanto amati è anche una sintesi di un trentennio di vita italiana, dalla Resistenza agli anni '70, nei suoi risvolti politico-sociali, brillantemente illustrati nelle vicende dei tre amici protagonisti del film, un infermiere (Manfredi), un critico cinematografico (Satta Flores) e un avvocato (Gassman), attratti dalla stessa donna (Sandrelli).

Dal punto di vista esistenziale ciò che colpisce maggiormente è il tratto dell'opera che si pone in maggior continuità con i grandi maestri della commedia all'italiana, quello di saper creare dei personaggi approfonditi ed indimenticabili nonché di saper descrivere le loro storie attraverso una sapiente sintesi di ironia e malinconia. 

Pur trattandosi apparentemente di una "commedia", C'eravamo tanto amati è pervaso da un'amarezza a tratti cupissima e alcune sequenze particolarmente toccanti - magistrale, per l'intensità dei dialoghi e l'utilizzo di una messinscena "fantastica" (nella quale ha grande rilevanza l'ambientazione e la fotografia), quella che rappresenta il confronto tra l'avvocato e la moglie appena morta, interpretata da Giovanna Ralli - lo rendono un esempio paradigmatico di "tragedia" contemporanea, capace di suscitare nello spettatore una profonda catarsi, proprio nel senso tradizionale del termine. 

Nella sua intera parabola narrativa il film però mette anche a confronto diverse modalità esistenziali di fronte alla stessa realtà sociale: se la figura dell'avvocato rappresenta chiaramente il tradimento delle proprie aspirazioni più profonde in vista della ricerca del potere e quella del critico cinematografico esemplifica l'intellettuale cervelloticamente autoreferenziale, l'infermiere interpretato da Manfredi è il personaggio che si fa portatore della carica esistenziale maggiormente positiva, rimanendo fedele nel tempo ai propri ideali, che porta avanti nella concretezza del quotidiano, ben lontana dalla astratte speculazioni dell'amico critico (si pensi alla sequenza del presidio di fronte alla scuola negli anni '70), riuscendo anche a trovare una sua serenità nella realizzazione, in età matura, del suo sogno d'amore giovanile, realizzazione possibile solo dopo aver accettato le contraddizioni della donna con cui ha scelto di condividere la vita.

Pier

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