14 aprile 2021

CINEFORUM VIRTUALE - Nuovo articolo su "C'eravamo tanto amati" di Ettore Scola (Italia 1974)



Nel periodo che va dal Dopoguerra agli anni '70, intorno ai protagonisti del film - Gianni (Gassman), Antonio (Manfredi), Nicola (Satta Flores) e Luciana (Sandrelli) - una nuova società fa la sua comparsa, si muove, cresce e comincia molto presto a rovinare anticipando quell'inesorabile disfacimento dei giorni a noi più vicini.

Ciascuno dei quattro, infatti, incarna, in una società in profonda trasformazione, qualcosa di terribilmente umano che tuttora ci abita accanto.

Gianni non può che farci pensare all'arrivismo imperante nella società attuale in cui si baratta l'anima con il denaro, l'identità con il successo, l'integrità (fasulla) con il compromesso di comodo nel quale si inabissa l'amor proprio. Gianni pagherà a caro costo la sua scelta relegandosi in una solitudine affettiva ed esistenziale sublimata dal rifiuto di Luciana, un tempo innamorata di lui, la quale, in una scena memorabile, gli confesserà candidamente di non averlo più né pensato né amato.

Antonio, invece, ci ricorda l'onestà dei più semplici, di chi crede negli ideali giusti, sani e ancora validi ma che, ciononostante, viene spesso schiacciato dai fatti della vita corrente nei quali quegli ideali difficilmente trovano spazio. Antonio saprà comunque ricavarsi un po' di felicità accanto a Luciana oramai calata appieno nel ruolo di madre e di moglie cosi come la società del tempo impone.

Nicola, infine, ci fa sorridere e un po' ci inquieta nel suo essere un intellettuale di sinistra ingenuo ed appassionato al punto da abbandonare la sua famiglia di Nocera Inferiore per cercare fortuna a Roma; fortuna che non troverà tanta è la sua incapacità di coniugare pensiero ed azione, idee e realtà, l'essere uomo nella società.

Non può, quindi, non trovare spazio una certa dose di amarezza nel vederci rappresentati, in particolare, come parte di una società in lenta, crepuscolare, decadenza.

Questa amarezza è tanto più acre quanto più racchiude in sé un "che" di nostalgico, come a ricordarci che avremmo dovuto e potuto crescere come membri di una comunità ben diversa, allora come oggi.

In un presente sempre più ingiusto perché sempre più diseguale dovremmo avere la sfrontatezza di riprovare, nonostante ogni ostacolo, a realizzare quegli obiettivi senza tempo che la fine del secondo conflitto mondiale ci ha insegnato, tra cui, accanto al principio di pace, quello di uguaglianza, postulato tradito da una lotta di classe in cui a vincere sono stati gli "altri".

AleLisa

Nessun commento:

Posta un commento