Il film mostra in maniera netta – anche grazie alla scelta stilistica del bianco e nero – il contrasto tra bene e male, tra democrazia e dittatura, tra la dignità del singolo e l’omologazione imposta dal potere. Ma non è mai un racconto semplicistico o manicheo: al contrario, i personaggi sono profondamente combattuti, consapevoli del prezzo da pagare. È proprio questa complessità a rendere il loro gesto ancora più grande. È nella lotta interiore che il coraggio prende forma.
L’ambientazione nel mondo dello sport non è casuale: è un contesto dove valgono merito, impegno, verità. Ed è proprio questa verità – personale e professionale – a entrare in conflitto con un sistema che vuole piegare tutto a logiche di potere e propaganda. La protagonista non si piega, la coach sceglie di non tradire. Due donne che si alzano in piedi, quando sarebbe più comodo (e più sicuro) abbassare lo sguardo.
Tatami ci ricorda che la vera essenza di ogni regime antidemocratico non risiede tanto nell’ideologia o nella religione che professa. Quelle sono soltanto strumenti, facciate costruite ad arte per offrire alle masse una giustificazione, un motivo per abbassare la testa. La radice vera è la corruzione profonda su cui si regge. Un sistema che antepone gli interessi di pochi a tutto il resto: alla giustizia, alla verità, al popolo stesso. E per mantenersi in piedi, non esita a colpire, annientare, distruggere chiunque osi opporsi.
In questo scenario cupo la scelta di queste due donne brilla come un atto di pura, radicale libertà. È un atto di resistenza che trascende lo sport, la politica, i confini: è un messaggio universale. Il coraggio delle donne salverà il mondo. E Tatami, con la regia appassionata e incisiva di Zar Amir Ebrahimi e Guy Nattiv, ce lo mostra con una forza che lascia il segno.
Daniele Ciavatti

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