29 novembre 2013

FILM AL CINEMA - "La gabbia dorata - La jaula de oro" di Diego Quemada-Diez

C’è chi sogna posti caldi, luoghi incontaminati in cui trascorrere le vacanze e chi, invece, da quei paesi fugge in cerca di un posto dove fa più freddo e magari anche nevica. E, pur di raggiungere questa meta, affronta situazioni inimmaginabili mettendo a rischio la propria vita ogni minuto, fino in fondo, tra speranza, paura, soprusi e violenza. Tutto questo non per un mero capriccio ma per tentare una strada che conduca ad una vita diversa fatta di cibo, casa, lavoro, futuro.
E' questa la storia narrata nel film - meritatamente premiato a Cannes e a Giffuni - dal bravo regista spagnolo Diego Quemada-Diez, "figlioccio" di Ken Loach (e non solo: ha supportato, infatti, anche altri cineasti del calibro di A.G. Iñárritu e O. Stone), nel quale tre adolescenti guatemaltechi (ai tre si aggiungerà poi un indio) si muovono alla volta dell’eldorado americano. Il gruppetto si sfalderà per alterne vicende, nessuna felice, e solo uno di loro, alla fine, ce la farà. Ma ad un prezzo altissimo.
Film duro, crudo, verissimo. La realtà è anche questa e l’autore la documenta con lucida umanità senza tralasciare alcun particolare. I giovani protagonisti (tutti attori non professionisti del luogo) bucano lo schermo con la loro vibrante intensità espressiva, fatta di sguardi incisivi, rapidi movimenti del corpo, azioni risolute ed impavide nonostante tutto quel che gli accade. La macchina da presa sembra quasi inseguirli, accompagnando fedelmente il rimo di un racconto che pulsa, senza tregua e mai pago, in vista della meta finale cui sono diretti. 
Efficace la fotografia resa ancor più intensa dal verde di una natura selvaggia che domina ovunque, dall'erba folta ai cactus immobili, dai secolari alberi nodosi ai paesaggi sterminati che si offrono alla vista dei poverissimi viaggiatori abbarbicati sui treni diretti a nord. Tantissimi i migranti veri che prestano i propri volti fatti di speranze disattese e desiderio di conquista insoddisfatto. Sembrano quasi dirci che gli ultimi restano sempre (o quasi) tali. E se per qualcuno di loro si compie il miracolo di riuscire a raggiungere "Lamerica" ciò avviene suscitando emozioni così forti da scatenare nel "fortunato viaggiatore" una meraviglia impareggiabile simile ad uno zoo nella pancia.
L’opera è certamente forte e richiede, quindi, "organi" in grado di resistere all’urto della visione. Ma se vi si riesce, si esce dalla sala in qualche modo fortificati e, in ogni caso, più consapevoli delle cose del mondo.
AleLisa

1 commento:

  1. Dopo quasi cinque anni ho visto questo film ed ho quindi riletto la tua recensione, che condivido appieno... E' piaciuto molto anche a me

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