24 novembre 2013

FILM AL CINEMA - "Venere in pelliccia" ("Venus in Fur") di Roman Polanski

Girato unicamente, squisitamente, in teatro, luogo sacrale per eccellenza, dove il rituale è d'obbligo. E' in teatro che le anime si confrontano per sviscerare la propria essenza...e si sprigiona così l'energia grande della parola, dei gesti, delle intenzioni, in un crescendo che può portare alla catarsi finale. Roman Polanski ci invita ad essere pubblico in questa piece recitata magistralmente da Emmanuelle Seigner e Mathieu Amalric. Lei nella vita è la moglie del regista e lui gli somiglia moltissimo. Caratteristiche che rendono ancora più "intima" tutta la costruzione del film tratto dall'opera teatrale di David Ives, che a sua volta si è ispirato al romanzo di Leopold von Sacher-Masoch.
Ci troviamo a Parigi. Piove. Thomas, regista e adattatore del testo dello spettacolo che deve mettere in scena, "Venere in pelliccia" (appunto), si trova solo in teatro e insoddisfatto perché dopo una giornata trascorsa a fare audizioni in cerca della protagonista,Vanda, non ha trovato nessuna attrice adatta al ruolo. In ritardo, zuppa di pioggia, col tacco rotto, tutta trafelata, arriva un'attrice che, guarda il caso, ha lo stesso nome del personaggio: Vanda anche lei. Si presenta in modo sgraziato, goffo, molto invadente e, dopo tenace insistenza, convince, anzi induce Thomas a farle l'audizione. Dalla grande borsa (oggetto di culto e mistero femminile) lei tira fuori, tra le altre cose che man mano diventeranno oggetti di scena, l'abito d'epoca e lo indossa con grande naturalezza ... Vanda, quella della vita e quella della scena insieme, si materializza sul palcoscenico. L'attrice fin dalla prima battuta dimostra una profonda conoscenza del testo ed un possesso del personaggio che lasciano di stucco Thomas, il quale perde man mano il ruolo, quello della vita, di direttore serio, placido, sicuro di sé e si mette a servizio di tutta la macchina teatrale che a quel punto parte e non si fermerà. 
Ora cominciamo ad entrare nei particolari, piccoli ma potenti di questo gioco e apro una parentesi importante: in inglese il termine "recitare" è "to play", come in francese "jouer", cioè giocare. Entriamo quindi nel copione dove la realtà e la finzione si fondono perfettamente. I personaggi sono due: lui vuole essere sottomesso da lei, che lo travolgerà nel profondo della sottomissione in un rapporto sado-maso. Nulla di volgare però, nulla di truculento, ma uno stretto, scandaloso, irriverente rapporto a due, dove l'autorità si prende e si lascia, la parola ha il peso di un macigno ma viene stravolta e rimessa in discussione. In teatro e in quel teatro, la sensualità di un corpetto è dirompente, naturale, disarmante. Lo scialle di lana diventa una pelliccia d'epoca morbida e peccaminosa, pretesto per sfiorarsi senza pudore nella naturalezza spudorata dello sconcio. Questo gioco è dolcemente reso spassoso dall'ironia costante e dall'eleganza. 
Il film mi è piaciuto molto ma, ammetto, è per una nicchia di pubblico adulto e "semplicemente" complesso. Amante del teatro, naturalmente. 
Simona Ciammaruconi

3 commenti:

  1. Pare esserci molto del R. Polanski uomo in questo suo ultimo film, più che in altri.
    Il cinema si fa teatro ed il teatro espressione di vita, natura agita su un vecchio palcoscenico da due soli attori, bravissimi, uno dei quali - la bella Emmanuelle Seigner – è anche la moglie attuale del regista polacco. La recitazione è vera, pura (finalmente!), ha un ruolo centralissimo ed è in grado di poggiare su di sé la propria forza espressiva grazie anche ad un'ottima sceneggiatura ma, in particolare, all’indubbia capacità dei due protagonisti di portare sulla scena un sentimento tanto antico quanto complesso come l'amore, anche nelle sue declinazioni piu' ardite. Un sentimento così intensamente tradotto scaraventa lo spettatore direttamente sul palco e lo fa diventare a volte vittima e a volte carnefice, in un gioco dialettico in continuo crescendo, fatto di realtà mista a finzione, in un costante improvviso spostamento tra l’una e l’altra, come se gioco non fosse. E' passione, soggezione, desiderio, annullamento di sé, brama insoddisfatta ed insaziabile del gesto feroce dell'altro che prima si nega e poi, immancabilmente, si concede sprezzante ed altero. La gestualità, la mimica dei volti e dei corpi, l’incisività degli sguardi proseguono ininterrottamente ed esplodono fin dal primo ingresso di lei in teatro quando, davanti ai suoi occhi penetranti e mai frivoli o pavidi, quelli di lui si fanno via via lucidi, timorosi, incerti.
    Si direbbe quasi un omaggio o una resa incondizionata alla seduzione potentissima di un fascino arcaico, quello di Afrodite, che colpisce e rapisce l'uomo legandolo per sempre a sé fino a soggiogarlo.

    RispondiElimina
  2. "Venere in pelliccia" è innanzitutto un esercizio di stile, un divertissement colto e un gioco "in famiglia" al contempo, che prende le mosse da una struttura a scatole cinesi, a base di rimandi ed allusioni: un film girato in un teatro e che segue la messinscena di una pièce tratta a sua volta da un romanzo, interpretato dalla moglie di Polanski e da un protagonista maschile che gli somiglia molto. E la resa espressiva non si può negare sia di alto livello: attori in gran forma e calati nella parte, scrittura coinvolgente e dai ritmi ben dosati, regia che non si esibisce (tranne che in apertura e in chiusura, forse non a caso) e risulta pienamente funzionale alla narrazione.
    Ma se si vuole oltrepassare questo primo livello di lettura si può rimanere delusi. Lo spunto non è certo originale e, ad avvalorare la tesi del puro esercizio di stile, si potrebbe collocare il messaggio veicolato nell'ambito delle "variazioni su tema consueto". Ma cosa lascia alla fine allo spettatore?

    RispondiElimina
  3. Caro Pier, sicuramente un esercizio di stile ma ottimamente riuscito.
    L’intensità espressiva, con le sue vibrazioni, resta comunque e si avverte tutta tanto sembra calcare il palcoscenico lo stesso Polanski.

    RispondiElimina