1 marzo 2016

FILM al cinema - "Il sentiero della felicità" ("Awake, the Life of Yogananda") di Paola di Florio e Lisa Leeman

Docu-film di stampo biografico, Il sentiero della felicità descrive la vita del celeberrimo maestro indiano Paramahansa Yogananda, colui che negli anni Venti del Novecento aprì all'Occidente la via alla conoscenza dello yoga, guru particolarissimo, dagli occhi magnetici, vividi e pulsanti. Il lungometraggio ne ripercorre la vita partendo dall'infanzia fino ad arrivare alla morte avvenuta a Los Angeles nel 1952. Nato a Calcutta nel 1893 da una famiglia benestante e trasferitosi in America dopo aver acquisito gli insegnamenti di Swami Sri Yukteswar, Yogananda vive in un periodo denso di rilevanti avvenimenti storici, fra cui le due guerre mondiali. Fondatore dell'organizzazione Self-Realization Fellowship di Los Angeles (che ha voluto e commissionato questo documentario), i suoi scritti (uno fra tutti, Autobiografia di uno Yogi del 1946) sono diffusi in tutto il mondo, tanto da fare proseliti in ogni dove (fra i tanti George Harrison e Steve Jobs).
Nonostante l’importanza del tema affrontato e le buone intenzioni delle due registe, Paola di Florio e Lisa Leeman, il film non riesce a destare l’interesse di chi non conosce affatto il famoso maestro o di chi sia completamente digiuno di filosofia orientale e yoga. Analogamente, gli adepti o gli estimatori dei suoi insegnamenti non troveranno spessore nell'esposizione resa dalle due autrici. Infatti il linguaggio visivo e verbale utilizzato non riesce a cogliere nel segno, risulta privo di carica e di ritmo, si limita ad una narrazione a tratti quasi favolistica dei fatti. L’intento di suscitare, anche mediante il grande schermo, un interesse speculativo nei confronti degli insegnamenti di Yogananda (e non la mera fascinazione) avrebbe richiesto uno sforzo maggiore, non tanto in termini di immagini e personaggi (questi ultimi coinvolti mediante interviste) quanto nell'ambito di una divulgazione efficace ed incisiva, capace - quindi - di trascendere il racconto di superficie e di investire maggiormente il pensiero con sollecitazioni più profonde e di contenuto. In tale contesto, anche la voce narrante non supporta affatto un indirizzo propriamente esplicativo che resta confinato a riflessioni vagamente accennate. Certamente il compito era tutt'altro che facile ma comunque doveroso, tenuto conto dell’eco planetaria suscitata dal messaggio del mistico indiano.
AleLisa

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