21 maggio 2016

FILM al cinema - "La pazza gioia" di Paolo Virzì

Davvero un gran bel film l’ultima opera di Paolo Virzì, da sempre attento a tematiche importanti e di rilievo civile. Ancora una volta, infatti, il regista livornese si rivolge ad un pubblico interessato a vicende profondamente umane, scomode e dolorose, nelle quali campeggia il dramma sociale. Eppure il suo approccio non scade mai né nella banalità né nella retorica, riuscendo a mantenersi all'interno di una descrizione pacata ed onesta dei fatti.
Bellissime e bravissime le due attrici protagoniste, Valeria Bruni Tedeschi (nel ruolo della bipolare Beatrice) e Micaela Ramazzoti (nel ruolo della depressa Donatella), le cui capacità espressive evidenziano il pregio di una sceneggiatura incisiva e delicata al tempo stesso (merito, quest’ultimo, anche di Francesca Archibugi, che scrive il copione assieme al regista).
L’opera convince, quindi, grazie alla sapiente combinazione di regia, interpretazione e scrittura ovvero al garbo delle immagini e delle parole, all’umanità diffusa, all’ilarità latente intrisa di tanta sofferenza, al sentimento di amore mancato che si percepisce ovunque nelle due fragili protagoniste. Anche la fotografia è attenta, puntuale ed efficace. Preziose poi le brevi interpretazioni di Anna Galiena e Marco Messeri che, con il tocco dell’esperienza, aggiungono significato ad un film già denso di contenuto.
Nessun evento è mai descritto in modo troppo smaccato e lo spettatore, quindi, non viene travolto dal peso del disagio psichico né da quell’inarrestabile effluvio di "pazza gioia" che improvvisamente irrompe nelle esistenze di Beatrice e Donatella. L’amore, quello vero, fatto di profondità, vicinanza, affetto, partecipazione, compassione e condivisione arriva finalmente anche nelle loro bistrattate vite che, per la prima volta, potranno così rivolgersi ad un futuro forse diverso. Un dramma salvifico, quindi, e per questo ancora più vero e benefico.
AleLisa

1 commento:

  1. Concordo in buona parte con la recensione di AleLisa. Si tratta di un film indubbiamente intenso, coinvolgente, che trova il suo punto di forza nell'interpretazione delle due attrici principali. Il difetto maggiore de “La pazza gioia” risiede però nel rischio dell’estetizzazione della sofferenza, che sottilmente si insinua tra le pieghe della narrazione. Rappresentare, senza preoccuparsi di introdurre troppi filtri di distanziazione ma facendo presa proprio sull’aspetto emotivo, un personaggio delirante come Beatrice mentre, in un’avventurosa fuga dalla struttura psichiatrica che la ospita, ne combina di tutti i colori (coinvolgendo anche tanti altri, a partire dalla sua nuova amica Donatella) ma con una sua capacità di destreggiarsi ed una certa astuzia che le fa andare a buon segno – fino ad un certo punto – i suoi piani, può esercitare una sottile quanto inconsapevole fascinazione nei confronti di una certa parte degli spettatori. E in questo senso l’opera non convince né dal punto di vista estetico né da quello esistenziale.

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