25 novembre 2022

FILM al cinema - "Brado" di Kim Rossi Stuart

(contiene spoiler)

A sei anni da Tommaso, Kim Rossi Stuart torna dietro la macchina da presa per dirigere (e interpretare) quello che, a differenza di quanto è stato detto, non è un western, bensì al limite un cripto-western o un anti-western: non certo per l’ambientazione italiana contemporanea ma perché, nonostante ranch e cavalli, è completamente assente nella narrazione la dimensione epica del conflitto, come invece ad esempio evidenziata in un’opera quale Bastardi senza gloria (Inglourious Basterds) di Quentin Tarantino (USA 2009), che è a tutti gli effetti un western travestito da war-movie. Precisazioni di genere a parte, Brado è uno dei titoli più importanti visti in questo primo scorcio autunnale della stagione cinematografica in corso.

Tratto da uno dei racconti della raccolta dello stesso Rossi Stuart (Le guarigioni, pubblicata nel 2019 con La Nave di Teseo) e dedicato a suo padre Giacomo (a sua volta attore, anche in alcuni western italiani), il film conferma la propensione dell’autore nel trattare vicende sofferte e nel calarsi nella parte di personaggi tormentati. Stavolta racconta la storia di un uomo burbero, che, dopo la separazione dalla moglie, si è isolato nella sua tenuta con annesso maneggio e sogna di trovare il cavallo vincente per le gare ad ostacoli. Difficile il rapporto con il figlio, che però si rende disponibile a cavalcare quello che sembra finalmente essere l’animale giusto per concorrere. Niente va come sperato e, dopo un allenamento intenso, durante la gara il cavallo si azzoppa a causa di un incidente. Verrà ucciso dal protagonista il quale, poco tempo dopo, per una caduta da un altro cavallo, finisce in ospedale in gravi condizioni. Il figlio, che nel frattempo era tornato alla sua vita, accorre dal padre. Il lungo percorso fatto assieme, nonostante le difficoltà relazionali, alla fine rende possibile la riconciliazione e il pieno riconoscimento reciproco. Sul volto del padre morente finalmente vediamo un sorriso luminoso, di chi se ne va in pace, mentre il figlio si stabilirà nella tenuta paterna con l’addestratrice di cavalli di cui si era già innamorato durante il primo soggiorno lì, ereditando finalmente in modo consapevole quanto di bello gli ha comunicato il genitore, come è simboleggiato dalla sequenza finale in flashback.

Brado entra in profondità nella sofferenza sia esistenziale (con i momenti di duro confronto tra i due personaggi principali) che fisica (le scene in ospedale con il padre agonizzante non risparmiano dettagli forti) ma non lo fa mai in modo gratuito o compiaciuto in quanto l’attraversamento del dolore conduce alla catarsi dei protagonisti e finalmente ad un senso di pace mentre lo sguardo con il quale sono narrate le vicende è intriso di un forte sentimento di compassione umana. 

Il film può anche risultare disturbante in alcuni momenti ma va fatto sedimentare e dà suoi migliori frutti nei giorni successivi alla prima visione, riuscendo a far emergere con intensità - nello spettatore che è riuscito a sintonizzarsi sulle corde emotive dell’opera - quella dimensione interiore di aspirazione alla pace e di apertura alla compassione, che è al cuore di diverse tradizioni spirituali.

In tal senso la pellicola, oltre a raggiungere un notevole risultato estetico (soprattutto grazie all'orchestrazione tra sceneggiatura, regia e interpretazioni attoriali) ed esistenziale (quello di poter aiutare a vivere meglio lo spettatore), riesce a proporsi come esempio della capacità dell'arte di inverare nel fruitore, anche solo per qualche momento,  alcuni valori archetipici del patrimonio spirituale universale.

Pier

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