Crialese sembra che giri sempre variazioni dello stesso film ma questo - attenzione! - non è un limite ma forse il suo maggior pregio perché si tratta di un autore estremamente originale ed "appartato" rispetto al panorama italiano. Il suo è un cinema più evocativo che narrativo, più di poesia che di prosa, tanto che si potrebbe definirlo impressionista o addirittura proto-simbolista.
Il regista rinuncia al racconto tradizionale in favore di una giustapposizione di sequenze estremamente suggestive, che concorrono alla rappresentazione per successive pennellate di personaggi tratteggiati con estrema cura. Qui al centro della storia c'è un'adolescente che si sente un maschio, ritratta all'interno della sua famiglia disfunzionale (con un'effervescente mamma spagnola dal rapporto infelice con un marito fedifrago e autoritario) nella Roma degli anni '70, che scopre la fascinazione per la "diversità" di una comunità di "baraccati" e si innamora di una coetanea.
Come giudicare la riuscita di un film che punta all'evocazione, coerentemente con alcune avanguardie artistiche del XX secolo? Proprio dall'intensità di ciò che riesce a comunicare al di là di esegesi concettuali. Il risultato qui - come in Respiro o in Nuovomondo, in misura minore anche in Terraferma - c'è, grazie ad una sceneggiatura puntuale nel suo condurre lo spettatore attraverso gli episodi descritti, ad una fotografia che restituisce l'atmosfera della Roma del recente passato evitando sia i cliché che gli scorci cartolineschi, ad una recitazione intensa degli attori ed al sapiente connubio tra musica e immagini. Il ruolo della colonna sonora in un'opera come questa è ancor più importante che nel cinema in generale e la sequenza finale, con la protagonista vestita da uomo che - in un contesto televisivo in bianco e nero - canta la canzone che dà il titolo al film raggiunge il vertice dell'intensità espressiva dell'intero arco temporale della visione.
Pier
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