6 giugno 2013

SPUNTI - La filosofia della libertà (al cinema)

Il cinema può essere liberatorio? Quando mi accingo a vedere un film le motivazioni che mi spingono sono diverse,  a seconda della situazione e dell'umore della giornata. Innanzitutto è ben diverso se si tratta di un film al cinema o a casa e, in quest'ultima ipotesi, se sono solo o in compagnia. Andare al cinema può essere un atto di passione ma anche, contemporaneamente, un'occasione sociale, un modo per passare una serata con amici. Tra i titoli in uscita ogni settimana seleziono quelli che trovo più interessanti e li propongo a quelle  persone che ritengo possano avere la stessa curiosità. 
A volte cerco l'intrattenimento e l'evasione: è il caso per lo più delle opere di genere, come l'action-movie o il cartoon. Sento il bisogno di distrarmi dalla realtà quotidiana e di sospendere le ordinarie occupazioni mentali per il tempo della proiezione. Questo fa il cinema nella sua funzione di base: è spettacolo. Altre volte sento il bisogno soprattutto di catarsi, di vedere proiettato sullo schermo il mio malessere sotto forma di personaggi o vicende in cui poterlo riconoscere trasfigurato attraverso la bellezza dell'arte. E' questa una funzione consolatoria, una sorta di massaggio emotivo che a volte può essere in grado di alleviare la tensione per un po': spingendo magari sul pedale della malinconia per poterla esprimere con più evidenza e liberarsene poi almeno in parte; oppure facendo esprimere la rabbia attraverso le sequenze d'azione; o ancora recuperando una carica proprio nell'assistere ad una messinscena affascinante delle proprie debolezze ed insufficienze, capace a volte di far virare l'umore dal ripiegamento nostalgico ad una lieve eccitazione creativa. 
Perché l'arte può creare questa illusione quasi magica: ci tocca nel nostro mondo interiore, ci mette in contatto con noi stessi, con delle parti magari profonde...le fa quindi venire allo scoperto e le plasma in una forma dotata di un'armonia che ci permette una sorta di autocontemplazione allo specchio più serena e distaccata di quanto non avvenga nella realtà ordinaria; ci  possiamo sentire quindi in grado di accogliere anche quegli aspetti che di solito rifiutiamo perché ci fanno star male e questo può creare un momentaneo viraggio nello stato d'animo dallo sconforto all'entusiasmo, nel senso che si passa dalla contemplazione passiva delle proprie miserie all'estetizzazione del vissuto personale  che si innesta nella coscienza per mezzo della fruizione artistica, con un effetto che può durare anche qualche giorno e che consiste nell'assumere su di sé lo sguardo del film e riconsiderare se stessi e il mondo circostante attraverso l'ottica trasfigurante della bellezza. Un processo che riesce a dare senso alla realtà per chi fatica a trovarlo ed è in grado anche di apportare una carica di energia e di motivazione. Ma svanisce comunque nel giro di qualche giorno: si tratta pur sempre di un'appropriazione di ruolo, di un'alterazione di coscienza attraverso il potenziale di falsificazione per di più mutuato dall'altrui fantasia e creatività. E' quindi un trucco, un gioco sul turn-over dell'umore che oltretutto non sempre riesce. Qualche volta può dare sollievo o magari essere utile a ritrovare un abbrivio positivo quando si stagna nelle secche della tristezza. Almeno, questa è la mia esperienza personale.
Qualche tempo fa ho cercato molto dal cinema quella valenza per così dire educativa, quella capacità di veicolare dei messaggi a chiara connotazione costruttiva, delle proposte in grado di fornire spunti concreti per la vita. Oggi mi interessa meno che nel passato recente. Forse ho minori aspettative dall'arte. O semplicemente dipende dalle inclinazioni dei singoli momenti della nostra vita. Quando sono a casa da solo, la sera dopo una giornata al lavoro, spesso non ho voglia di impegnarmi in visioni complesse. Se scelgo di vedere un film lo faccio innanzitutto per il primo dei motivi di cui ho parlato. Se invece si organizza una visione condivisa, di solito propongo un titolo a me noto che immagino possa piacere agli altri e che a me potrà dare il gusto di rivederlo col valore aggiunto dell'empatia con i presenti (e, lo ammetto, il sottile compiacimento di rivelare/comunicare qualcosa di mio). 
Mi sono dilungato andando fondamentalmente ad improvvisazione, senza seguire un indirizzo di percorso lineare nello scrivere questo articolo. In conclusione resta ancora aperta la domanda iniziale. Confesso di non avere risposte definitive. 
Pier

4 commenti:

  1. Ciao Pier leggo con piacere il tuo post e lo trovo molto interessante. Nella sostanza condivido ciò che doci anche se meriterebbe un approfondimento in un incontro deicato al tema in questione.
    un abbraccio
    Gianpiero

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    1. Ciao Gianpiero, mi fa piacere ricevere un tuo feedback e ti ringrazio di ciò che mi hai scritto. Quanto all'approfondimento, si può organizzare...
      Un abbraccio a te
      Pier

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    2. Credo che sia un’occasione di vita, nel senso che il cinema offre la possibilità di vivere una parte importante di noi stessi; parte che nel corso della quotidinità si fa fatica ad esprimere anche per i limiti oggettivi dettati dalla realtà circostante.

      Vita emotiva, passione, ricerca, interrogazione profonda, spunti di riflessione, espressione di coscienza. Questo è il cinema per me.

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  2. Simona Ciammaruconi11/6/13

    Andare al cinema, per me.

    Quando esce un film che voglio assolutamente vedere sono pervasa da un leggero stato febbrile che si placa solo quando mi siedo in sala. La sala stessa, poi, diventa un oggetto di possesso per cui pretendo un bel posto centrale, comodo, confortevole per il collo e per la mente. Preferisco come orario lo spettacolo delle 20:30, bado bene di non andare a stomaco pieno ma neanche vuoto e soprattutto di avere un congruo anticipo. Tutto ciò altro non è che il mio personale sacrosanto RITUALE che metto in pratica per quello che considero l'appuntamento più giocoso della settimana.
    Quando le luci si spengono posso finalmente lasciarmi andare e lascio che il film faccia di me quello che vuole. Non ho posizioni aprioristiche: assistere al film non è una ricerca culturale o una affermazione del mio potenziale critico. Lascio che l'espressione del mondo a cui assisto mi travolga profondamente e che i protagonisti tutti, piccoli o grandi, le comparse, perfino i truccatori...mi facciano "sentire" quello che loro hanno in serbo per me. E' proprio questo che mi smuove: entrare nel tema come se tutto il lavoro che grandiosamente si esprime con urgenza in quel momento sia stato fatto apposta per me.
    E mentre da una parte sono assorta nel qui ed ora, da un'altra parte mi appare tutto il lavoro compiuto tecnicamente, con effetti speciali, col sangue finto, le location, migliaia di comparse, i cavalli, perfino le pieghe degli abiti degli attori che rivelano le lunghe attese sul set. Maniacale? No, fruitrice golosa. Ed esigente... Si, perché quando un film mi risulta brutto mi arrabbio veramente tanto, addirittura mi innervosisco. Detesto lo speco di uomini, mezzi ed opportunità.
    Mi piace pensare ai tre film che salverei se andasse a fuoco la cineteca (anche se tre non mi bastano più...sarebbe meglio poterne sceglierne almeno dieci). Mi piace sentire che le persone quando devono descrivere un accadimento reale dicono: “Sembrava un film!“. Mi piace il cinema che celebra se stesso e mi piace constatare quanto amore il pubblico ha per gli attori che hanno lasciato una grande eredità umana. Così gli artisti come anche i divi che sul red carpet si lasciano docilmente sedurre dai fotografi al momento opportuno, con l'abito opportuno.
    Scene indimenticabili e film indimenticabili: è un modo per fermare il tempo nel suo momento migliore o più significativo e per avere l'ineguagliabile sensazione dell'immortalità.

    Simona Ciammaruconi

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