5 maggio 2014

FILM AL CINEMA - "La sedia della felicità" di Carlo Mazzacurati

Delude non poco l'ultima fatica del pur bravo Carlo Mazzacurati, scomparso di recente prima che "La sedia della felicita'" arrivasse nelle sale cinematografiche. Sembrano mancare, infatti, quel tocco di grazia, quella sapienza descrittiva intrisa di immagini e parole, quell'atmosfera così intima e comunicativa - a tratti toccante eppure mai gravosa - che abbiamo conosciuto in altri suoi film come "Il toro" o i piu' recenti "La giusta distanza" e "La passione". 
Permangono - comunque - il contesto rappresentativo e la leggerezza del racconto, che, all'inizio, paiono promettere molto quando ci strappano un sorriso ma che poi, appassendo, non approdano a nulla di veramente efficace (salvo - nel finale - lasciarci immergere in una natura tanto bella quanto poetica). Anche gli attori - adatti al film - non mancano (da Valerio Mastrandrea, calato in un ruolo solito, all'onnipresente Giuseppe Battiston); molte, poi, le partecipazioni amichevoli (da Antonio Albanese a Silvio Orlando e Fabrizio Bentivoglio). Eppure nessuno degli interpreti salienti colpisce realmente nel segno, pur se animato da un'umanissima simpatia. Inevitabilmente, quindi, la storia d'amore tra Dino e Bruna (l'affabile Isabella Ragonese) finisce per risentirne. Infatti, quando la relazione tra i due decolla in una sorta di sogno fantastico sospeso tra le splendide montagne della Val di Fassa, si resta indubbiamente alquanto interdetti. E non potrebbe essere diversamente visto che una vera e propria base, solida e duratura, su cui poggiare la narrazione difetta. Peccato davvero. Carlo Mazzacurati valeva e vale tuttora molto di più.
AleLisa

1 commento:

  1. CONTRO-RECENSIONE - “La sedia della felicità” di Carlo Mazzacurati

    Un film tanto trascinante quanto esilarante, con un ritmo serrato che tiene avvinti alla vicenda e una comicità che strappa risate di gusto dall'inizio alla fine. Il registro adottato apre le porte alla fantasia e fa librare l'immaginario dello spettatore, come nei migliori risultati del fantasy o del cartoon hollywoodiani. Il grottesco caricaturale prende apertamente la strada del surreale, mentre la tradizione della commedia italiana (che costituisce l’elemento basico sul quale viene modellata l’opera) si ibrida con altri generi e linguaggi, a partire dagli evidenti richiami allo spaghetti-western - evocato anche dalle musiche di Mark Orton - fino allo slapstick, al fumetto ed allo stesso cinema d’animazione. La vicenda si basa sul meccanismo della “caccia al tesoro”: le stazioni narrative presentano il susseguirsi delle varie peripezie dei tre protagonisti alla ricerca del malloppo, i quali stringono fra loro una fragile alleanza motivata soltanto dall’interesse comune e il cui percorso è denso sia di incontri che di situazioni paradossali.
    La galleria dei numerosi personaggi messi in scena compone un campionario umano caratterizzato da avidità, arroganza, cialtroneria, quando non da ottusità, alienazione e follia. Ne emerge una visione della vita fondamentalmente cupa e pessimista, in linea peraltro con un certo filone “nero” del western all’italiana, al quale si può riallacciare anche la struttura narrativa di cui sopra, basata - come nel caso dei vari Django e Sartana degli anni ’60 e ’70 - sulla ricerca spasmodica del denaro da parte di eroi dagli incerti connotati morali, che agiscono sullo sfondo di un ambiente sociale desolante. Questo assunto è però mitigato innanzitutto dalla leggerezza della rappresentazione: gli eventi che si susseguono sono esplicitamente inverosimili (come dimostra l’orso del prefinale, mostrato proprio nel suo essere finto), mentre la comicità è talmente insistita ed azzeccata da stemperare l’amarezza su cui si fonda. Inoltre l’epilogo vira di tono e propone un approdo salvifico, aprendo alla speranza anche nei confronti di chi sembrava perduto.
    “La sedia della felicità” è un esempio di film capace di far provare allo spettatore quella “magia del cinema” che sembra sempre meno prerogativa della produzione italiana. Merito di una sapiente orchestrazione tra i diversi elementi della messinscena, dalla sceneggiatura alla regia, dalla colonna sonora all’interpretazione degli attori, tutti veramente notevoli.

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