26 febbraio 2016

FILM al cinema - "Perfetti sconosciuti" di Paolo Genovese

Commedia psico-drammatica, versatile e brillante, dal retrogusto vagamente francese, il decimo lungometraggio di Paolo Genovese rappresenta la miglior prova per il grande schermo del quasi cinquantenne regista romano. Merito sicuramente sia di una sceneggiatura capace che di una recitazione convincente.
Il racconto - corale ed intimo al tempo stesso - si svolge all'interno delle (apparentemente) confortevoli mura domestiche, fra un gruppo di amici (apparentemente) affiatati, riuniti per una cena attorno ad un tavolo. Con ritmo calibrato la narrazione si accende fino a divampare trasportandoci in un batter d’occhio fra quelle stesse mura. Viene così da chiedersi: chi siamo noi veramente, oltre - e soprattutto sotto - la superficie piana delle cose? Quali segreti celiamo raccontando fandonie pur di mantenere inalterata quella superficie liscia e rassicurante?
Marco Giallini - alias Rocco (uno dei commensali, bravissimo in un ruolo a lui forse non propriamente congeniale) - non può fare a meno di riconoscere che "siamo tutti frangibili, chi più chi meno". Eppure è proprio questa frangibilità che ci fa star male, che ci inganna e che ci illude, che ci tiene perennemente in  bilico tra verità e bugia facendoci il più delle volte preferire la seconda - più comoda e scontata - alla prima, perché non scalfisce l’apparenza, la forma inconsistente delle nostre vite. Sembra quasi impossibile riappropriarci di noi stessi, di quel che siamo e sentiamo, tanto siamo avviluppati in quel coacervo di finte sicurezze che ci siamo creati (indotti anche dall'esterno) ovvero la famiglia, il matrimonio, il lavoro, la casa.
Ogni personaggio dimostra appieno tutta la sua umana fragilità: dalla psicologa poco "talentuosa" nel contesto familiare al marito innamorato/fedifrago, dalla moglie insoddisfatta e repressa (una bravissima Anna Foglietta) all'amico gay incapace di dichiararsi. Qualcuno riesce, però, a dare prova di vera amicizia (Valerio Mastrandrea alias Lele è strepitoso nella parte) mentre qualcun altro non può fare a meno di riconoscere che l'assenza di legami istituzionali e di figli rappresenta la propria vera natura a dispetto di quello che la società ci induce prima a pensare e, poi, ci sollecita a fare. In un mondo in cui prevale l’effimero, il telefonino diventa così la nostra finta salvezza, quella scatola nera in cui eclissarci e dissimulare i desideri più reconditi, districandoci tra applicazioni e social network vari.
Un 'opera così ben congegnata, agile e scorrevole non può quindi che riuscire a catturare l’attenzione di un pubblico molto vasto, risultando credibile e dirompente come l'oggettività del reale che svela senza manierismi o retoriche di sorta. 
AleLisa

2 commenti:

  1. Francesca Scialanga28/2/16

    I miei complimenti ad AleLisa.....le sue ultime recensioni superano lo stile del maestro e mi trovano sulla stessa frequenza d'onda. "Perfetti sconosciuti", una commedia amara ben riuscita, come d'altra parte non ci si poteva non aspettare da Paolo Genovese. Diversi temi sono stati toccati: l'amore coniugale, l'omosessualità, l'omofobia, l'amicizia, il rapporto genitori-figli (anche se solo accennato), la seconda vita che si cela in una scatoletta nera che si chiama Smartphone.  Tutti temi trattati con garbo ma colti nella loro peculiarità...senza alcun giudizio.
    Un finale inatteso che ti lascia anche stordito, incredulo. ..perplesso ma sereno.

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  2. All'attivo del film vanno ascritti un copione tecnicamente ben scritto (dal punto di vista del ritmo narrativo e dei dialoghi), una regia attenta e puntuale nonché un cast che raggruppa alcuni tra i migliori attori italiani del momento. E' soprattutto su questi elementi che si regge infatti "Perfetti sconosciuti": ma non bastano.
    Il film si pone programmaticamente sulla falsariga di altre produzioni di questi ultimi anni, come il francese "Le prenom" (2012) di Matthieu Delaporte e Alexandre de La Patellière, rifatto in Italia dalla Archibugi ("Il nome del figlio", 2015). Ma non c’è nessuna originalità di approccio né rielaborazione: solo la mera riproposizione di uno schema collaudato da altri. A quale fine? Se la risposta fosse la radiografia sociale, come potrebbe indurre a pensare il tema e lo sviluppo della vicenda, il risultato sarebbe assai esiguo. Lo spunto sui nuovi mezzi di comunicazione è solo un pretesto per mettere in scena una - per lo più - già vista galleria di personaggi con i loro - per lo più - già visti conflitti e malesseri. Con tanto di provincialismo, machismo e beceraggine. E la descrizione dei rapporti umani che viene tracciata dall’opera è quantomeno desolante. Quindi al dubbio risultato sotto il profilo estetico si aggiunge una scarsa valutazione dal punto di vista esistenziale.

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