15 gennaio 2020

FILM al cinema - Il grande ritorno di Ken Loach: "Sorry we missed you"

Attraverso una modalità rappresentativa in apparenza vicina al cosiddetto “realismo documentaristico”, il film porta lo spettatore dentro il mondo che descrive, non solo facendogli conoscere – e già questo è un merito – i nuovi meccanismi di sfruttamento sociale che magari ignorava ma arrivando a fargli quasi vivere assieme ai protagonisti le loro peripezie, a calarlo nel loro quotidiano, a sentire dentro di lui le loro gioie e i loro dolori.
Questo effetto viene raggiunto innanzitutto grazie ad una sceneggiatura che mette al centro della vicenda non dei personaggi qualunque ma una coppia di “proletari” che, nonostante le enormi difficoltà da affrontare, restano animati da una profonda forza morale, che si rivela sempre più nel corso dello svolgimento della trama: questa caratteristica li distingue, li fa amare e fa provare una forte empatia nei confronti dei loro vissuti.
Tale aspetto potrebbe essere tacciato da qualche critico seguace dell’art pour l’art come una forzatura idealistica. Invece il valore aggiunto di un film come questo è proprio nel saper andare oltre la rappresentazione dell’ingiustizia sociale, offrendo anche un modello di valori a cui riferirsi e, ancor di più, osservando gli eventi rappresentati con una sensibilità di sguardo che, al di là di quanto intenzionalmente o meno, rivela uno spessore spirituale: la messinscena è apparentemente distaccata ma al contempo estremamente partecipe, segue i protagonisti anche nei momenti peggiori ma sempre avvolgendoli con un’amorevolezza che si potrebbe chiamare cristianamente “pietà” o buddhisticamente “compassione”.
E’ questa qualità di approccio che si percepisce anche nel Kaurismaki di Le Havre, nel Guédiguian de Le nevi del Kilimangiaro, nell’Andrea Segre de La prima neve o nei fratelli Dardenne di La fille inconnu, tanto per fare degli esempi tratti dal cinema degli ultimi anni (ce ne sarebbero ovviamente molti altri). E’ un tipo di cinema che offre proposte valoriali all’uomo di oggi, ricollegandosi implicitamente e laicamente ad alcuni temi forti e semplici che appartengono al patrimonio della spiritualità universale e della tradizione cristiana, come ce li proponeva già nel ‘700 Gotthold Ephraim Lessing (si prenda ad esempio il brevissimo scritto Il Testamento di Giovanni), le cui opere a sfondo religioso potrebbero rappresentare un’ottima lettura da confrontare - magari in un cinefourm - con la visione dei film citati.

Pier

1 commento:

  1. Mancherebbe qualcosa nel panorama cinematografico internazionale se non ci fosse Ken Loach.

    I suoi film, infatti, sono necessari, anzi, indispensabili.

    Da sempre in prima linea nel denunciare i mali oscuri della società contemporanea e le derive odiose del capitalismo sfrenato, il regista inglese arriva dritto al cuore delle cose – e delle persone - senza mezzi termini.

    Non ci dà tregua sin dalla prima inquadratura.

    Siamo tutti nella vicenda, accanto e al posto dei protagonisti con i quali empatizziamo per la loro disarmante e coerente umanità (spicca fra tutte quella di Abbie, l’attrice Debbie Honeywood).

    Gli altri siamo noi, ci ricorda l’autore britannico, con i drammi, gli affetti ed il lavoro quotidiano che ci tortura e fagocita nell'illusione di un tempo migliore che non ci sarà.

    Nulla potrà mai arrivare se non avviene prima il riconoscimento di quei diritti che erano già nostri, dai tempi in cui li abbiamo faticosamente conquistati; e che oggi vediamo rovinosamente deflagare subendone le tragiche conseguenze fra cui una nuova schiavitù e il riaffermarsi di vecchie disuguaglianze.

    I personaggi, autentici e sensibili, provano a resistere come possono per poi perdersi in una realtà frantumata, durissima e pesantissima da gestire, in cui non c’è più spazio per una vera e propria vita (ed è questo il caso di Ricky, l’attore Kris Hitchen).

    Il Grande Fratello si è definitamente radicato in mezzo a noi, per molti quasi inconsapevolmente, ed i protagonisti indiscussi di questa nuova era sono le compagnie che fanno business con le nostre stesse esistenze sollecitandoci ad acquisti spesso del tutto inutili (Produci, consuma, crepa gridavano i CCCP - Fedeli alla Linea nel lontano 1986 cantando il brano ‘Morire’).

    Il regista britannico non offre, come sempre, alcuna possibile soluzione.

    Eppure, capire in piena coscienza tutti i temi coinvolti nell’evoluzione economica 2.0, resistere e combattere democraticamente contro ogni sfruttamento resta ancora oggi l’unica arma con cui difenderci.

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