15 dicembre 2020

FILM sul tema "Fantasia e realtà" - "L’arte del sogno" ("La Science des rêves") di Michel Gondry (Francia 2006)

Esiste un’innumerevole letteratura sui sogni - dizionari popolari, manuali didattici e testi sacri (psicoanalitici) che ne decodificano i significati simbolici più bizzarri e inconsueti o inconsci - ma una ricetta per fabbricarli non era stata ancora individuata fino a quando non è uscito questo film.

L’arte del sogno in origine è La Science des rêves, due titoli che suonano antitetici, ma pensabili come speculari, che completano la grammatica dell’Onirico e della Materia come interconnessi a completamento della dimensione del Reale. Addirittura è “scientifico” produrre un sogno, pertanto riproducibile - con gli ingredienti giusti e le giuste condizioni ambientali - e la materia è lo strumento con cui prende spazio e tempo.

Il Reale, dimensione in cui è immerso il quotidiano vivere comune, tende a privilegiare la Materia come sua condizione peculiare (ciò che non si tocca non esiste e quindi non serve a niente), colpevolizzando l’Onirico e relegandolo all’Inesistente (i sognatori sono perdenti, quando non addirittura folli). Ma non qui. Mentre il quotidiano è una materia quasi anonima (una Parigi che rimane sullo sfondo e non diviene protagonista) L’arte del sogno è la materializzazione viva e tangibile dell’Onirico attraverso l’unica lingua possibile, l’Arte. I personaggi che la vivono si muovono agevolmente fra gli spazi del sogno e della materia stravolgendone i confini ma senza perderne l’equilibrio, per giungere ad un punto perfetto di non ritorno.

La trama del film è un banale intreccio di mutevoli tropismi erotico-amorosi, intreccio che si dipana solo quando i linguaggi decidono di incontrarsi. I personaggi non sono veri protagonisti. In primo piano vi sono le costruzioni cinetiche e pittoresche le quali non hanno mai forme simboliche surreali ma ci riconducono ad un’infanzia mai perduta, fatta di ingegno creativo povero e grossolano ma poetico, magico e mitico. Quel tempo nostalgico compie la sua presentificazione e libera i personaggi dalle loro inquietudini. 

Di fatto è un film a cui non chiedere significati, ma ci ricongiunge a ciò che non vorremmo mai aver perduto per sempre.

Luana Di Gregorio

2 commenti:

  1. CONTRO-RECENSIONE - "L’arte del sogno" ("La Science des rêves") di Michel Gondry (Francia 2006)

    “La scienza dei sogni” propone il rifugio nella fantasia dell’infanzia di fronte al disagio della vita reale. Ora, se la via artistico-onirica è una fuga momentanea da una quotidianità a base di difficoltà interiori e frustrazioni concrete, allora la creatività non è la soluzione della problematica del protagonista ma semplicemente uno dei modi in cui essa si manifesta.
    Chiarito ciò non si riesce più a prendere sul serio il discorso sull’arte come veicolo liberatorio ed il film si rivela semplicemente come l’ennesimo ritratto di un giovane - magari di genio - in difficoltà con la vita, confermando un binomio tra fantasia creativa e disagio psichico ahimè troppo noto sia dalle opere che dalle biografie di diversi artisti.
    Un binomio che pone in grande difficoltà chi cerca di cogliere nell’arte - intesa non solo come fine ma anche come mezzo - un significato che possa aiutare a vivere meglio il quotidiano (o magari, in casi più rari, ad indicare una trascendenza dello stesso): se l’arte fosse solo il prodotto di un disturbo mentale (come sembrano suggerire alcune opere o biografie appunto) come ci si potrebbe affidare ai messaggi che veicola? Ci si augura infatti che non sia sempre così ma nel momento in cui questa connessione diventa palese - come nel caso del film in questione - non si riesce a non prenderne almeno in parte le distanze.
    Sotto il profilo estetico non si può negare al film una certa originalità di ispirazione - pur nel riproporre un tema non certo nuovo - e la forza espressiva di alcuni passaggi. Dal punto di vista esistenziale non si tratta però di un’opera che propone dei grandi spunti costruttivi. Può aiutare a vivere chi si riconosce in un malessere analogo a quello del protagonista per l’effetto catartico di questa identificazione (e questo è uno degli effetti positivi di un certo tipo di arte) con il rischio però di indurre questo tipo di spettatore ad indugiare in quel malessere e in una certa auto-rappresentazione di sé proprio in quanto estetizzati dall’artificio della messinscena cinematografica.

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  2. Io ci ho visto una sorta di "recupero" dell'onirico fanciullesco, non come fuga da una realtà dolorosa, ma come necessità per un completamento di sè. (Mi ricordo i giochi con materia povera della mia infanzia. Quando ci piaceva creare con le nostre mani da quello che trovavamo attorno! E perché non riappropriarci di ciò?)

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