(contiene spoiler)
Il cortometraggio affronta un tema universale e coinvolgente: la nostalgia. Lo fa contrapponendo il rimpianto per i tempi passati della giovinezza a un presente sempre più tecnologico e digitale.
Roma, anni Sessanta. Una giovane coppia percorre in una Fiat 500 la strada verso il mare, spinta dal desiderio di fare l’amore per la prima volta. I due si spogliano e cercano di superare le proprie paure, accompagnati dalla loro canzone preferita, Un’ora sola ti vorrei di Ornella Vanoni. Tuttavia nulla è come sembra: dettagli discordanti emergono lentamente, come la battuta del ragazzo che, allarmato, avverte la compagna: «Attenta, ti rompi un femore», oppure, mentre corrono, esclama «Non ci verrà un infarto». Questi indizi insinuano che dietro il momento romantico si nasconda qualcos’altro.
La rivelazione arriva solo alla fine: quei due ragazzi non sono altro che due anziani che, grazie alla realtà virtuale e, probabilmente all’intelligenza artificiale, stanno rivivendo quell’esperienza del passato. L’intera vicenda ci viene mostrata dal punto di vista dell’uomo anziano, che vediamo togliersi il visore per primo al termine del viaggio sensoriale. È plausibile immaginare che anche la donna anziana, pur vivendo la stessa esperienza, abbia sperimentato dettagli diversi, arricchiti dall’intelligenza artificiale in base alla sua sensibilità personale.
Il ritorno alla realtà è suggellato da una battuta della giovane operatrice - interpretata dalla regista stessa - del centro che offre questo tipo di servizi: «Devono essere stati proprio dei bei tempi, i vostri», mentre restituisce la fotografia dalla quale l’intelligenza artificiale ha probabilmente attinto le informazioni per ricreare la realtà virtuale. In quel momento, il ricordo non appartiene più soltanto ai due anziani, ma diventa oggettivo, riconosciuto e condiviso anche da chi non ha vissuto direttamente quegli anni.
Il cortometraggio mette così in scena il confronto tra due dimensioni apparentemente inconciliabili: da un lato la tecnologia, con i suoi strumenti digitali, dall’altro la memoria, fragile ed emotiva. La regista ci suggerisce invece che queste due realtà possano convivere e completarsi: la tecnologia diventa funzionale al ricordo, per poter rivivere - anche solo per un attimo - un’epoca ormai perduta, fatta di Fiat 500 e di un mondo irrimediabilmente analogico.
Non stupisce, in questo senso, la partecipazione straordinaria di Giuliano Montaldo. La scelta, da parte di una giovane regista, di un maestro del cinema italiano non è solo un omaggio ma un gesto in perfetta sintonia con il contenuto del cortometraggio: il futuro che ha bisogno del passato per poter raccontare le proprie storie. Ne emerge una visione affascinante: il massimo traguardo della tecnologia non è tanto quello di proiettarci nel futuro, quanto quello di rendere ancora vivo il nostro passato.
Daniele Ciavatti
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