8 marzo 2012

APPROFONDIMENTI - Il cinema può aiutare a vivere meglio? Una proposta di approccio critico-esistenziale

Che il cinema - e più in generale l'arte - possa aiutarci a vivere meglio è stato affermato più di una volta e da diversi autori celebri, da Thomas Mann (per la letteratura) a François Truffaut. E’ stata scelta questa frase per connotare il progetto “Cinequale”, che si è iniziato a delineare partendo dalla constatazione che una certa tendenza dell’arte contemporanea (e quindi del cinema, soprattutto quello “d’autore”) presenta un’inclinazione verso il “negativo”, prediligendo la rappresentazione del malessere e della confusione nonché veicolando messaggi pessimisti. Di conseguenza si è adottato un orientamento che non tenesse conto esclusivamente del valore espressivo, estetico, dell’opera ma che ne considerasse le potenzialità di offrire qualcosa di costruttivo al fruitore, dando rilievo quindi all'aspetto esistenziale della visione filmica.
Ma qual'è il cinema che può aiutarci a vivere meglio? Non è così facile definirlo in maniera troppo circostanziata. Nell'approccio al film c'è di mezzo innanzitutto la soggettività dello spettatore e, a voler tracciare confini troppo netti, si corre il rischio di edificare un'ideologia. Al pari di altre forme d'arte, il cinema propone contenuti e sollecita l'emotività: in tal senso può essere paragonato ad una sorta di nutrimento interiore, che può far bene o meno innanzitutto a seconda di chi lo assume e del periodo in cui si trova. E’ pur vero però che, per un certo numero di persone, un tipo di nutrimento può essere salutare, un altro può non dare nessuna sostanza, un altro ancora può essere tossico ma magari benefico se assunto in una piccola dose. 
Con la consapevolezza quindi che qualsiasi tentativo di classificazione può comunque risultare parziale, nel proporre questo approccio fondato sulla ricerca e la condivisione del cinema che può aiutare a vivere, si è scelto di cominciare dal cercare di definire in cosa consiste il suo contrario. Quali sono quei film che NON aiutano a vivere? Innanzitutto quelli che procurano malessere in termini di inquietudine, ansia, paura, angoscia, tristezza, malinconia, sconforto o desolazione, soprattutto se si tratta di emozioni che vengono sollecitate in modo fine a se stesso o per l’intera durata dell'opera. E poi tutti quelli che, in un modo o nell'altro, veicolano una visione della vita cinica, malinconica o pessimista, inducendo lo spettatore ad identificarsi in essa. A puro titolo di esempio, film come “Non è un paese per vecchi” (“No Country for Old Men”, 2007) dei fratelli Coen o “Shutter Island” (2010) di Martin Scorsese, pur nel loro indubbio spessore artistico, inducono angoscia dall’inizio alla fine e propongono un punto di vista desolante sull’essere umano.
Ma qui c'è già da operare un primo distinguo. Ad un livello di base anche film che presentano le caratteristiche appena descritte possono aiutare a vivere per la funzione liberatoria operata dall'arte attraverso la trasfigurazione nel sublime delle emozioni e dei sentimenti umani, per quanto confusi e dolorosi. E' soprattutto questo aspetto (che per funzionare presuppone almeno un mimino di proiezione identificativa da parte di chi guarda) a provocare un ritorno immediato in termini di benessere. Questo tipo di fruizione comporta però il rischio di sollecitare lo spettatore nel suo lato "negativo": chi è già predisposto alla malinconia e al pessimismo potrebbe provare un sollievo immediato nel ritrovare sul grande schermo una parte di sé, sentendosi innanzitutto meno solo; a ciò si verrebbe poi ad aggiungere la soddisfazione di vedere i propri vissuti dolorosi trasfigurati nell'arte e quindi resi "belli". La conseguenza potrebbe essere un’identificazione ancora maggiore con quella parte che si alimenta di malessere e confusione, nonché il ricorso alla fruizione di altre opere analoghe che possano confermarla e rafforzarla, infine una sorta di "dipendenza" da un certo tipo di cinema utilizzato come un "droga" per sedare le proprie insoddisfazioni nei confronti della vita reale. Con questo discorso non si vuole affermare che sia preferibile rinunciare definitivamente a certi film ma semplicemente invitare ad una visione consapevole: la fruizione di opere come queste può infatti anche avere una valenza "omeopatica" nei confronti di alcune tendenze personali o derivanti dal contesto socio-culturale nel quale viviamo.
Al di là di questa precisazione, si ritiene che il cinema possa aiutare a vivere innanzitutto nella sua funzione originaria di spettacolo ed intrattenimento. L’evasione dall’ordinario in un mondo di fantasia ha già un effetto benefico nel suo interrompere il flusso abituale del pensiero (si pensi ad es. ad un cartoon in CGI). C’è poi la valenza ristoratrice che proviene dal divertimento e dalla risata (come avviene ad es. nella commedia comica). Oppure l’effetto catartico derivante dal proiettare lo spettatore all’interno di un’avventura o di un conflitto, in modo da fargli sublimare nell’arte i desideri inespressi e le pulsioni aggressive (si possono citare come esempi l’action-movie e la commedia sentimentale). Ovviamente sempre all’interno di un contesto che non veicoli messaggi negativi e che non provochi effetti disturbanti. Qualche ulteriore esempio potrà chiarire meglio alcuni passaggi. “Monty Python - Il senso della vita” (“Monty Python - The meaning of life”, 1983) di Terry Gilliam e Terry Jones possiede una indubbia carica comica che, in uno spettatore incline allo spirito irriverente del film, può produrre divertimento e risate dall’inizio alla fine: nonostante ciò, propone una visione della vita dichiaratamente nichilista. Un altro esempio è quello dell’action-movie e affini, dove, oltre al messaggio proposto, ha un’importanza particolare proprio la messinscena. Un film come “Innocenti bugie” (“Knight & Day”, 2010) di James Mangold adotta una rappresentazione della violenza dichiaratamente estetizzata, coreografica, sopra le righe e deformata dall’ironia: nella sua evidente falsificazione non dovrebbe provocare fastidio nello spettatore, pur restando capace di svolgere la sua funzione catartica. Viceversa, un film come “Machete” (2010) di Robert Rodriguez indugia volutamente sulla crudeltà - tra eccessi ed efferatezze varie - e punta all’effetto visivo disturbante, con frequente ricorso allo splatter.
Anche nel caso dei film che possono aiutare a vivere attraverso lo spettacolo e l’intrattenimento è auspicabile una visione consapevole per evitare il rischio di eccedere, finendo per utilizzare un certo tipo di cinema comunque come sedativo nei confronti delle proprie frustrazioni personali.
Ad un livello più profondo, un film può aiutare a vivere quando offre degli spunti costruttivi che riescano eventualmente a provocare un’espansione di coscienza e magari a stimolare un’intuizione concreta relativa alla vita quotidiana dello spettatore. Alcune opere possono far riflettere su temi che hanno un significato importante per la nostra esistenza, quali la ricerca di una propria dimensione, l’aspirazione alla libertà dai condizionamenti, l’espressione della creatività, l’apertura nei confronti della vita, l’accettazione di se stessi, la solidarietà con gli altri, la manifestazione dell’amore. Questo è il terreno che maggiormente si presta ad essere "ideologizzato" e quindi si lascia volutamente la prospettiva aperta, libera di costituirsi nel confronto e di evolversi strada facendo.
La metodologia di approccio che viene proposta segue il binomio già presentato della ricerca da una parte e della condivisione dall'altra. Nella ricerca è necessario innanzitutto affinare l’intuito per evitare la perdita di tempo. Il criterio usato è quello dell'attenzione al singolo film piuttosto che all'autore: questo perché si è riscontrato che spesso registi connotati da una particolare cifra espressiva possono produrre opere fuori dalle loro abituali tendenze. Per riprendere i nomi citati sopra: i fratelli Coen, che non sono certo campioni di ottimismo, con "Il grande Lebowski" ("The Big Lebowski", 1998) e "Il Grinta" ("True Grit", 2010) hanno firmato due film che offrono invece spunti costruttivi, mentre Martin Scorsese, a sessantotto anni, ha lasciato da parte le atmosfere angosciose di un certo suo cinema per dirigere una favola ottimista come “Hugo Cabret” (“Hugo”, 2011).
Il sito web di “Cinequale” si propone come spazio dedicato alla ricerca ed alla riflessione condivisa sul tema del cinema che può aiutare a vivere. Ma lo strumento dedicato principalmente alla condivisione - quello in cui l’esperienza è più intensa e partecipativa - è il cineforum. Se nella scelta di un film per la fruizione individuale conta soprattutto il periodo della vita della persona, quando non addirittura l’umore della giornata, nell’ambito del cineforum la selezione dei titoli si basa innanzitutto sull’attenzione al contesto. A seconda della richiesta o della tipologia del gruppo si sceglie un tema, sulla traccia del quale viene proposto un percorso articolato in un numero variabile di film. Ogni incontro prevede, oltre la visione dell'opera, un breve cenno interpretativo sulla base del tema presentato e quindi un momento dedicato alla condivisione. E' proprio dallo scambio e dal confronto che si può verificare se il film visto può avere offerto o meno un messaggio costruttivo ai partecipanti e in quale misura. Ad esempio, se il tema è la ricerca di una propria dimensione, chi propone e conduce il cineforum non può avere la pretesa di indicare un percorso o magari una "ricetta", pena il già citato rischio di veicolare un'ideologia ed ergersi a vate. Quello che invece può fare è offrire uno spunto che viene sviluppato eventualmente nella condivisione ed attraverso il valore aggiunto che proviene dall'intrecciarsi dei diversi punti di vista dei presenti, dai quali lui per primo può imparare qualcosa. Si tratta insomma di un'esperienza alla pari, dove chi conduce mette a disposizione semplicemente una sua specifica competenza nell'ambito cinematografico. E' dalla piccola comunità che si riunisce attorno allo schermo che può invece eventualmente prendere forma un percorso condiviso, all'interno del quale magari aprirsi ed aiutarsi vicendevolmente.
Pier

2 commenti:

  1. Direi più che un approfondimento, un "manifesto della semantica del film-che-aiuta-a-vivere". Necessaria conclusione di una presentazione che all'inizio del percorso attuato ancora non ci diceva molto, soprattutto perché le visioni dei film non si erano ancora compiute.
    Ho apprezzato molto la disamina fatta su cosa ad esempio può voler significare un "film che NON aiuta a vivere" comprese le esemplificazioni anche sul genere comico ma che produce effetti non propriamente positivi.
    Vorrei qui condividere con i partecipanti al cineforum e con tutti i fans di Cinequale, quale è stata la risultante che io ne ho tratto al di fuori della nuda e cruda fruizione filmica.
    Questo infatti è stato l'effetto che ho più apprezzato anche perché inatteso e certamente non previsto dalla visione di un ciclo di films.
    Tanto è stato recepito il progetto culturale, che la risultante più sensibile ha sfondato il rettangolo di tela bianca e si è riversato nella realtà quotidiana.
    E' in corso un cambiamento di approccio verso l'esterno, verso gli accadimenti, le persone, le emozioni, il contesto che comunque ci circonda.
    Ora metto in prima postazione un "indice spia" che in qualche modo registri se dietro quell'esperienza c'è o meno un rischio di contaminazione del "male di vivere", quel piccolo batterio che si incunea sempre con più facilità e frequenza nella nostra vita, compromettendo quindi la nostra già precaria serenità.
    Ho ragionato sul se evitare a distanza regolamentare questo rischio configurasse una modalità di trincerarsi dietro un chiuso egoismo; ne ho concluso che il senso di preservarci da negatività, che possono abbassare la soglia vitale della nostra energia, va difeso con prudenza ed attenzione e questo proprio in ragione di quanto vogliamo restare integri verso noi stessi e verso gli altri per continuare ad elargire tutto ciò che la nostra generosità ci porta a compiere.
    Vi sembra u paradosso ? A me no. Un BRAVO al nostro critico/sensibilizzatore esistenziale.

    Carla

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  2. Grazie :) anche per la condivisione della tua esperienza, che trovo molto interessante...

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