29 novembre 2012

APPROFONDIMENTI - Sergio Sollima, un regista eclettico tra generi e personaggi

Regista "all'americana" dotato di una cultura squisitamente europea, esploratore dei generi cinematografici che ama definirsi un contenutista, intellettuale capace di coniugare le esigenze dell'arte con quelle dell'industria, Sergio Sollima, in circa un quarantennio di attività, ha diretto quattordici film per il cinema e sei per la televisione, passando, con estrema disinvoltura, dalla commedia alla spy-story, dal western al noir, dal thriller al poliziesco, dall'esotico-avventuroso all'affresco generazionale, dall'impegno civile alla divagazione sentimentale, dal drammatico alla ricostruzione storica.
Nato a Roma il 17 marzo 1921, Sollima sviluppa fin da bambino un'intensa passione per il cinema, soprattutto per quello statunitense. Dopo gli studi classici, nel 1941 abbandona la Facoltà di Giurisprudenza a cui era iscritto ed inizia a frequentare il corso per registi al Centro Sperimentale di Cinematografia, allora diretto da Luigi Chiarini. Nello stesso anno viene però richiamato alle armi. L'8 settembre 1943 diserta ed entra a far parte di un gruppo clandestino di ispirazione cattolico-comunista: fino al 1945 partecipa attivamente alla Resistenza, vivendo un periodo destinato a segnare profondamente la sua futura evoluzione umana. Nel primo dopoguerra si dedica prevalentemente al teatro, sia in veste di autore che di regista. Il suo primo lavoro è "L'uomo e il fucile", una commedia partigiana che, nel 1947, vince il Concorso internazionale di Praga. Tra le sue opere teatrali si ricordano: "Gli uccisori", un dramma ispirato a "Il postino suona sempre due volte" di James Cain; "I pallinisti", una rivista da camera; "Apocalisse a Capri", una commedia comica che riscuote un buon successo. In quel periodo ottiene, per tre anni, la direzione del Teatro Arlecchino di Roma (l'odierno Flajano). Intanto coltiva l'attività di critico cinematografico, collaborando a più di una rivista dell'epoca. Nel 1947 pubblica "Il cinema in U.S.A.", il primo libro uscito in Italia nel dopoguerra sulla cinematografia statunitense. Sollima inizia a lavorare per il cinema negli anni cinquanta. E' presente, in qualità di aiuto regista, sul set di pochi film: "Trieste mia" (1951) di Mario Costa, "Solo per te Lucia" (1952) di Franco Rossi, "Terra straniera" (1953) di Sergio Corbucci e "Baracca e burattini" (1953), sempre di Corbucci. Durante la lavorazione di "Trieste mia" conosce quella che sarà la sua futura moglie, Maria Pia Coen. In quegli anni dirige anche due documentari assieme ad Alberto De Martino: "Intervista al cervello", su un manicomio, e "Turismo col pollice", sulle vacanze in autostop. Come sceneggiatore collabora invece ad una gran quantità di film, tra i quali: "Persiane chiuse" (1951) di Luigi Comencini, "Tripoli bel suol d'amore" (1952) di Ferruccio Cerio, "Carosello di canzoni" (1958) di Luigi Capuano, "Ricordati di Napoli" (1958) di Pino Mercanti, "Il mondo dei miracoli" (1959) di Luigi Capuano, "Il cavaliere dai cento volti" (1960) di Pino Mercanti, "Goliath contro i giganti" (1960) di Guido Malatesta, "Madri pericolose" (1960) di Domenico Paolella, "I teddy boys della canzone" (1960) di Domenico Paolella, "Ursus" (1960) di Carlo Campogalliani, "Maciste contro lo sceicco" (1961) di Domenico Paolella, "Il segreto dello sparviero nero" (1961) di Domenico Paolella, "Una spada nell'ombra" (1961) di Luigi Capuano, "Ursus il gladiatore ribelle" (1962) di Domenico Paolella, "I dieci gladiatori" (1963) di Gianfranco Parolini.
Il suo vero e proprio esordio cinematografico avviene nel 1962, anno in cui prende parte alla realizzazione del film "L'amore difficile", una commedia all'italiana in quattro episodi. Suo è il primo di questi, "Le donne", tratto da una novella di Ercole Patti e interpretato da Enrico Maria Salerno e da Catherine Spaak. Gli altri tre episodi, tutti tratti da novelle di autori italiani e diretti da registi esordienti, sono: "L'avaro", di Luciano Lucignani, con Vittorio Gassmann; "L'avventura di un soldato", di e con Nino Manfredi; "Il serpente", di Alberto Bonucci, con Bernard Vicky. Fin da questo suo primo film, Sollima inaugura la consuetudine, che lo accompagnerà per la sua intera carriera registica, di prendere parte alla sceneggiatura delle opere da lui dirette.
Nel 1965 dirige, firmandosi Simon Sterling, il primo capitolo di una trilogia spionistica, "Agente 3S3 passaporto per l'inferno", interpretato da Giorgio Ardisson. Il film, girato con un budget ridottissimo, rivela l'abilità dell'autore nel coreografare i momenti spettacolari, oltre che nel conferire alla narrazione la giusta dose di ritmo e di suspense. L'anno seguente, sempre sotto pseudonimo, dirige un sequel, "Agente 3S3 massacro al sole". Poco dopo l'uscita di quest'ultimo film nelle sale, Sollima conosce il titolare della P.E.A. (Produzioni Europee Associate), Alberto Grimaldi, che gli propone di girare una nuova spy-story, ma con un budget più elevato e firmandosi con il proprio nome: si tratta di "Requiem per un agente segreto" (1966), interpretato da Stewart Granger e Daniela Bianchi. Con questo film iniziano a meglio definirsi quelle costanti espressive che ricorreranno nella successiva produzione dell'autore: l'approfondimento psicologico dei personaggi, caratteristica abbastanza inconsueta nel panorama del cinema di genere italiano; l'ottimismo progressista, inteso innanzitutto come fiducia nelle potenzialità di maturazione interiore del singolo; il rapporto dialettico tra il determinismo sociale e la libertà dell'individuo; il confronto tra due caratteri antitetici in grado di influenzarsi vicendevolmente; una cifra stilistica improntata all'equilibrio ed alla misura.
Tra il 1967 e il 1968 il regista realizza una trilogia western ("La resa dei conti", 1967; "Faccia a faccia", 1967; "Corri uomo corri", 1968), genere in cui raggiunge forse i suoi risultati più alti. "La resa dei conti" è un western dalla trama gialla che coniuga i toni da commedia con la suggestione dell'epica e del mito. Il film, che si propone come un'esplicita metafora terzomondista, sviluppa il proprio discorso politico attraverso il rapporto tra i due protagonisti della vicenda: un bounty killer americano, interpretato da Lee Van Cleef, ed un ladruncolo messicano di nome Cuchillo (Tomas Milian), personaggio, quest'ultimo, destinato a divenire assai popolare tra le fila della contestazione sessantottina. "Faccia a faccia" è invece incentrato sul confronto esistenziale e culturale tra due personaggi provenienti da opposti ambienti sociali: un civile professore del New England (Gian Maria Volonté) ed un celebre bandito del Texas (Tomas Milian). Denso di allusioni politiche (soprattutto ai movimenti fascisti) e di richiami figurativi alla spiritualità cristiana, il secondo western di Sollima è anche uno dei suoi film più personali: ad una tematica psicologica ed introspettiva corrisponde un percorso narrativo interrotto da poche scene d'azione ed un rigore formale che poco concede alla rielaborazione mitica della violenza. In "Corri uomo corri" il regista ripropone il personaggio di Cuchillo (nuovamente interpretato da Tomas Milian), accentuandone, spesso in modo macchiettistico e caricaturale, il suo ruolo di sottoproletario capace di riscattarsi con l'astuzia da un sistema sociale e politico che prevede l'oppressione e lo sfruttamento legalizzati.
Dopo aver concluso il proprio discorso sul western, Sollima passa ad esplorare altri generi cinematografici. Nel 1969 si reca negli Stati Uniti per girare "Città violenta" (1970), un noir coinvolgente e suggestivo. Interpretato da Charles Bronson e da Telly Savalas, il film definisce i contorni della vicenda attraverso un susseguirsi di numerosi flash back, anticipando, con i suoi virtuosistici incastri temporali, buona parte del cinema di genere contemporaneo. Durante la lavorazione di "Città violenta" il regista alloggia in una comune di San Francisco e partecipa al periodo della contestazione, prendendo parte a più di una manifestazione di protesta. In seguito dedicherà a quegli anni anche una sceneggiatura, mai tradotta in immagini, dal titolo "Underground Bus".
Nel 1972 dirige Stefania Sandrelli e Keir Dullea in un thriller dalla rigorosa architettura narrativa, basata su un meccanismo di scatole cinesi, "Il diavolo nel cervello", che conferma il talento per la suspense di cui l'autore aveva già dato prova. L'anno successivo firma invece un intenso e toccante poliziesco, "Revolver", una sorta di remake, in chiave contemporanea e pessimista, de "La resa dei conti", di cui ripropone il medesimo modulo narrativo: quello dell'incontro-scontro tra un uomo di legge (Oliver Reed) e un ladruncolo (Fabio Testi), sullo sfondo di una vicenda che allude alle trame ordite dal capitalismo internazionale.
Dopo quella che potrebbe essere definita una trilogia "nera" (pur trattando delle tematiche non sempre affini ed appartenendo a tre differenti generi cinematografici, "Città violenta", "Il diavolo nel cervello" e "Revolver" hanno in comune un'accentuazione pessimistica che non ha riscontro né nella precedente né nella successiva produzione del regista), Sollima, ispirandosi ad Emilio Salgari, realizza una nuova trilogia, in cui ricorrono quelle istanze terzomondiste che avevano già caratterizzato due dei suoi tre western. Nel 1976, dopo aver effettuato le riprese in India e in Malesia, termina la lavorazione di "Sandokan", un film per la televisione in sei puntate, liberamente tratto dai romanzi salgariani del ciclo malese, riletti in chiave anticolonialista. Interpretato da uno sconosciuto attore indiano che da allora diviene una star, Kabir Bedi, al quale si affiancano Carole André, Adolfo Celi e Philippe Leroy, "Sandokan" riscuote un enorme successo di pubblico, totalizzando un ascolto di ventisette milioni di spettatori. Constatando l'ottimo risultato televisivo, l'autore, nello stesso anno, ne realizza una versione cinematografica in due parti. Sempre per il grande schermo gira "Il Corsaro Nero" (1976), a sua volta tratto da Salgari, e un sequel di Sandokan, dal titolo "La tigre è ancora viva: Sandokan alla riscossa" (1977), entrambi interpretati da Kabir Bedi.
Terminata la trilogia "salgariana", Sollima lavora quasi esclusivamente per la televisione, dirigendo: "I ragazzi di celluloide" (1981 e 1983, due serie di tre puntate ciascuna), un autobiografico affresco generazionale su un gruppo di cinefili tra Fascismo, Resistenza e Dopoguerra, interpretato da Massimo Ranieri, Alfredo Pea e Leo Gullotta, oltre che dall'ottimo William Berger, già attore nel secondo western del regista; "Uomo contro uomo" (1989, in due puntate), un "faccia a faccia" tra due fratelli (Barbara De Rossi e Christopher Rode) sullo sfondo della lotta tra le cosche calabresi; "Passi d'amore" (1990, in due puntate), con Alessandra Martinez, una storia d'amore ambientata nel mondo della danza classica; "Solo per dirti addio" (1991, in due puntate), in cui Giovanna Ralli interpreta il ruolo di una madre che indaga sulla morte del proprio figlio.
Nel 1992 l'autore si riaccosta al cinema per girare un film sulle vicende che, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, precedettero l'invasione tedesca della Polonia, "Berlin 39", il quale però non è mai uscito nelle sale. Nel 1998 termina le riprese de "Il figlio di Sandokan", film per la televisione in due puntate, tuttora inedito.
Pier

Nessun commento:

Posta un commento