17 febbraio 2013

FILM AL CINEMA - "Lincoln" di Steven Spielberg

Abrham Lincoln, sedicesimo presidente degli Stati Uniti d'America. Abolì la schiavitù nel 1865 con il tredicesimo emendamento della costituzione (preceduto dall'emancipazione, nel 1863), ponendo fine anche alla Guerra di Secessione. Era un grandissimo oratore. Morì assassinato nel 1865.
Il film di Spielberg si concentra sugli ultimi quattro mesi di vita del presidente ed è tratto dal libro di Doris Goodwin. Chi si aspettava una sontuosa messa in scena o un'espressione romanzata e passionale della vita del protagonista sicuramente sarà rimasto deluso. L'impatto iniziale rischia di essere difficile perché il linguaggio, strettamente politico, può indurre alla noia e mettere lo spettatore in condizione di temere per l'esito delle due e più ore successive. Man mano che la vicenda procede si riesce invece ad apprezzare la lenta attesa che si svolge quasi esclusivamente in interni, come a sottolineare l'essenziale, l'intimità dei luoghi, la profondità del pensiero, la scelta del lecito o del non lecito di fronte alla causa, all'idiozia della guerra (che coinvolgerebbe anche il figlio dello stesso Lincoln), alla mostruosità della schiavitù. 
Il protagonista è scaltro e si avvale anche di metodi ricattatori per avere dalla sua parte i voti necessari affinché venga approvato il tredicesimo emendamento...e noi spettatori siamo tutti dalla sua parte. E, pur se sappiamo con certezza che l'emendamento verrà approvato, viviamo comunque quella giusta tensione che solo un grande regista ci riesce a trasmettere. I dialoghi con la moglie e con i figli sono notevoli, di un'intimità quasi struggente, asciutti al punto che rivelano senza pudore la difficoltà di comunicare e a volte di vivere. 
Gli attori, nessuno escluso, impreziosiscono la loro performance con un pizzico di finissima e godibile caratterizzazione, quasi a sottolineare che, nonostante l'argomento storico, stiamo assistendo sempre ad un'opera di finzione, dalla quale la realtà emerge comunque con la terribile ottusità dei tempi e dei modi, dove un presidente innovatore viene ucciso proprio in un teatro, durante una rappresentazione comica, nell'attimo in cui il pubblico è "preso" in una risata fragorosa e fatalmente rumorosa. 
Una piccola considerazione che rivolgo in primis a me stessa: a volte andiamo al cinema con lo stato d'animo in "posizione di difesa", con dei preconcetti che ci sbarrano la strada dopo tre minuti di proiezione. Vorrei esortare gli amici cinefili ad abbandonarsi al film, ad abolire i pre-giudizi e quindi a sedersi in poltrona a cuore aperto, entrando nel contesto e cercando il messaggio che in fin dei conti è rivolto proprio a noi. Quando usciamo dalla sala, oltre al subitaneo sproloquio da intenditori, lasciamo sedimentare in silenzio le emozioni o le brutture. Può essere un modo per avere una visione ancora più ampia. Un privilegio. 
Simona Ciammaruconi

1 commento:

  1. Ciao Simona, ho apprezzato molto la tua recensione e mi ha fatto anche riflettere da diversi punti di vista.
    A me il film non è piaciuto, l'ho trovato lento e noioso...e infatti l'impatto iniziale è stato per me proprio come lo descrivi tu...la differenza sta nel fatto che, proseguendo nella vicenda, la sensazione è rimasta più o meno la stessa. Nonostante ciò, trovo condivisibile l'analisi che hai fatto e mi spinge a rimettere in discussione la mia impressione immediata.
    Concordo appieno con la tua considerazione finale e ti ringrazio per averci richiamato ad una semplicità di approccio che può essere un valore aggiunto.

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