10 febbraio 2014

FILM AL CINEMA - "Zoran, il mio nipote scemo" di Matteo Oleotto

Recuperato in seconda visione in un cinema d'essai, "Zoran" si rivela uno dei film più pregnanti tra quelli visionati in questa stagione. Merito innanzitutto di una sapiente scrittura, che riesce a farci seguire, con buon ritmo e una certa dose di comicità, le vicende di un protagonista tanto antipatico quanto sgradevole, mantenendosi sempre in equilibrio tra gli estremi in cui facilmente si può scivolare in casi come questo: da una parte l'adesione empatica che risulta assolutoria (e quindi diseducativa), dall'altra l'osservazione asettica, distaccata, "entomologica", che prende le distanze dalla materia narrata col rischio di raffreddare però anche il coinvolgimento dello spettatore.
In questo film ci si ferma sempre un passo prima della volgarità e del compiacimento: si ride, è vero, per i modi sfacciati o per le battute sprezzanti del protagonista ma non senza un costante sottofondo di amarezza, che trattiene dalla tentazione dell'identificazione. La sofferenza di Paolo Bressan è esplicita, mai estetizzata attraverso qualche espediente di copione, di regia o di interpretazione; il suo modo di relazionarsi agli altri è palesemente distruttivo, nonché altrettanto chiaramente proveniente dal suo malessere e dalla sua confusione. Il che può far percepire una certa partecipazione affettiva che non diventa però mai complicità. Inoltre, seguendo la traccia narrativa, si fa strada in modo sempre più chiaro il presentimento di una "conversione", termine scelto non a caso, perché quest'opera di Oleotto sembra proprio fondata su un cristianesimo implicito, privo di adesioni manifeste o richiami simbolici ma tutto vissuto in termini esistenziali. Quindi si arriva sì al cambiamento e al lieto fine ma attraverso un percorso tortuoso e in una maniera per nulla scontata. 
"Zoran" si pone esplicitamente nella cornice della commedia con una certa inclinazione al bozzettismo regionale. Inoltre gli elementi filmici sono tutti funzionali alla definizione del protagonista e del suo percorso. Si possono comprendere in tal senso la tendenza caricaturale presente in alcuni dei personaggi secondari e qualche piccola forzatura che potrebbe far apparire un po' inverosimili alcuni passaggi. Gli attori contribuiscono non poco alla riuscita del film, a partire da Giuseppe Battiston (nel ruolo del protagonista) fino a notevoli comprimari quali Rok Prensikar, Marjuta Slamic, Roberto Citran, Teco Celio e Riccardo Maranzana. Ed anche la regia fa la sua parte, dal semplice "pezzo di bravura" (la sequenza della sfida al gioco delle freccette girata in stile western) all'intensità drammatica (come nei momenti che preludono al crollo fisico-emotivo di Paolo Bressan, dove la messinscena allucinata restituisce l'ubriachezza e il caos interiore del personaggio). Un'opera prima notevole, che cerca il dialogo con le aspirazioni costruttive dello spettatore.
Pier

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