18 aprile 2014

FILM AL CINEMA - "Father and Son" ("Soshite chichi ni naru") di Hirokazu Kore-eda

Il regista giapponese Hirokazu Kore-eda porta sullo schermo (sua anche la sceneggiatura) una singolare vicenda familiare, il cui contenuto, pur se drammatico, non assume mai toni eccessivi o fuori luogo. L’autore, infatti, ci descrive con garbo e stile tutto orientale il difficile rapporto padre/figlio vissuto da Ryota, uomo severo e rigido ma, al tempo stesso, vittima di un trascorso familiare problematico, mai elaborato. Il progressivo coinvolgimento di Ryota nel difficile ruolo di genitore - reso ancor più complicato dalla notizia sconvolgente che apprende sul figlio insieme alla timida moglie - si fa via via più intenso, profondo e - soprattutto - vivo. Il rampante Ryota, tanto votato alla carriera quanto affettivamente incapace, subisce così una lenta ma progressiva maturazione fino a tramutarsi in un soggetto diverso: diviene, infatti, per la prima volta, un vero padre. Saranno in particolare alcune fotografie scattate proprio dal figlio a risvegliarlo definitivamente. In quel momento il protagonista avvertirà dentro di sé una scossa tale da commuoverlo e fargli percepire la forza di un sentimento per lui nuovo: quello di essere genitore a prescindere dal vincolo di sangue perché quel che conta è solo l’amore, che tutto regge e muove. Tema, questo, quanto mai attuale, perché sollecita le nostre riflessioni anche sul concetto moderno di famiglia. 
Attorno a Ryota si muovono le due donne - entrambe pienamente calate nel dramma della maternità violata ma ciascuna interprete a suo modo del ruolo di moglie e di madre - e l'altro padre spinto da un'innata inclinazione, superficiale ma affettivamente calda. I due figli non subiscono passivamente le decisioni dei quattro adulti: la naturale spontaneità di cui sono istintivamente capaci guiderà infatti inevitabilmente le decisioni dei genitori, indicando loro la via da percorrere per comprendere il sentimento radicato che lega indissolubilmente, da sempre, ciascun gruppo familiare. 
Il racconto, intimo e delicato, si snoda attraverso dialoghi curati ed è arricchito sia da immagini misurate sia da una musica appropriata come quella di Bach. La visione cattura man mano lo spettatore, che sia genitore oppure no, sollecitando altresì i ricordi legati all’infanzia ed alle sue istanze, talvolta o spesso disattese. Ci si chiede - senza trovare risposta - come mai il cinquantenne autore nipponico abbia avvertito l’esigenza di descrivere una vicenda tanto umana e particolare come questa. Ragione in più, quindi, per scegliere di vedere il film.
AleLisa

1 commento:

  1. Il tema è interessante, gli spunti esistenziali non mancano e lo sviluppo della vicenda contiene dei risvolti che possono aiutare a vivere. Ma il ritmo narrativo è irrimediabilmente lento e, di conseguenza, il film risulta un po' noioso. Perché farlo durare più di 120' quando le stesse cose si sarebbero potute esprimere anche con una buona mezzora di meno? Se il motivo è da rintracciare nella particolare scelta stilistica dell'autore, allora è necessario che questa si riveli esplicitamente in un risultato espressivo che si faccia apprezzare. Ma a mio avviso così non è. Non ho trovato nessun valore aggiunto nella dilatazione temporale delle sequenze. La logica conseguenza di ciò è quella di attribuire la lentezza ad una sceneggiatura che manca di una calibrata orchestrazione narrativa. Nel complesso un'opera comunque interessante.

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