L'esordio alla regia di Claudio Amendola con "La mossa del pinguino" si situa nel solco della migliore stagione della commedia all'italiana, quella degli anni '60-'70. Un ottimo quartetto di attori, una solida sceneggiatura, un buon disegno dei caratteri, una narrazione che alterna comicità e malinconia, senza scadere nella volgarità. La vicenda - incentrata su un gruppo di marginali che cerca un riscatto sociale nel progetto di portare alle Olimpiadi la prima squadra di curling dell'Italia centro-meridionale - è tratteggiata con empatia e tenerezza, risultando più spesso commovente che comica. Lascia un po' di amarezza ma ciò che rimane più in profondità è l'affetto per un campionario umano che, pur con tutti i suoi limiti e ingenuità, esprime una sua fondamentale purezza di cuore.
"Noi 4" di Francesco Bruni è invece una delusione. Tanta maestria nella composizione narrativa appare piuttosto fine a se stessa, quasi un artificio retorico che non ha altro scopo che autoesibirsi: la storia di questa famiglia scombiccherata sembra non condurre da nessuna parte ed i protagonisti non arrivano ad essere tutti così credibili. Il padre cialtrone è talmente caricato da risultare fastidioso; altrettanto si può dire della fragilità mascherata con l'apparente durezza della figlia maggiore, fricchettona e con velleità artistiche, o dell'iperprotettiva ed ansiogena madre, che vive in modo frenetico, non accetta il passare degli anni e martella tutti di telefonate. Le nevrosi rappresentate lasciano l'impressione di essere molto scritte a tavolino: sul piano più immediatamente emotivo il film non riesce a comunicare in modo convincente e dal punto di vista esistenziale sembra non lasciare gran che al termine della visione. E purtroppo ne risentono anche gli attori. L'unico personaggio che lascia il segno è quello del figlio minore, la cui vicenda suscita infatti una maggiore adesione da parte dello spettatore. Per il resto niente di che.
"Noi 4" di Francesco Bruni è invece una delusione. Tanta maestria nella composizione narrativa appare piuttosto fine a se stessa, quasi un artificio retorico che non ha altro scopo che autoesibirsi: la storia di questa famiglia scombiccherata sembra non condurre da nessuna parte ed i protagonisti non arrivano ad essere tutti così credibili. Il padre cialtrone è talmente caricato da risultare fastidioso; altrettanto si può dire della fragilità mascherata con l'apparente durezza della figlia maggiore, fricchettona e con velleità artistiche, o dell'iperprotettiva ed ansiogena madre, che vive in modo frenetico, non accetta il passare degli anni e martella tutti di telefonate. Le nevrosi rappresentate lasciano l'impressione di essere molto scritte a tavolino: sul piano più immediatamente emotivo il film non riesce a comunicare in modo convincente e dal punto di vista esistenziale sembra non lasciare gran che al termine della visione. E purtroppo ne risentono anche gli attori. L'unico personaggio che lascia il segno è quello del figlio minore, la cui vicenda suscita infatti una maggiore adesione da parte dello spettatore. Per il resto niente di che.
Pier
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