10 settembre 2014

FILM - "Ti ricordi di me?" di Rolando Ravello

Una piacevolissima sorpresa questo film di Ravello, capace di trasmettere un messaggio profondo e costruttivo attraverso una modalità leggera, originale e divertente.
La struttura della fiaba è esplicitata fin dall'incipit con la presentazione dei due protagonisti bambini (Roberto e Bea, nei panni del principe e della principessa), mentre la declinazione contemporanea viene sottolineata dalla presenza, in qualità di personaggio adiuvante, di una psicoterapeuta al posto della tradizionale fata. La narrazione è decisamente scorrevole, grazie innanzitutto ad una sceneggiatura attenta ai tempi del racconto, ai dialoghi molto accurati ed alla comicità che riesce a divertire senza ricorrere alla volgarità tanto di moda in certe commedie italiane. Gli attori sono perfettamente calati nelle rispettive parti e danno un grande contributo alla riuscita espressiva dell'opera (ottimi Edoardo Leo e Ambra Angelini ma anche i comprimari Paolo Calabresi e Susy Laude). 
La messinscena è notevole, a partire da una regia estremamente fluida, che fa sentire la sua presenza attraverso avvolgenti movimenti di macchina sempre al servizio della narrazione e mai esibiti come manierismi fini a loro stessi. Le immagini sono cariche di una vividezza cromatica tale da trasfigurare la quotidianità con un tocco vagamente retrò (alla "Amelie" per intenderci), dall'effetto sospensivo e universalizzante, quasi che invece di trovarci nella Roma di oggi venissimo trasportati in quell'altrove dell'immaginario in cui si situa il "C'era una volta...". Risultato ottenuto anche grazie alla cura delle ambientazioni e dei costumi, elementi utilizzati in modo funzionale allo svolgimento connotativo della vicenda e dei personaggi (si veda la trasformazione di Bea da ragazza all'antica a proto-fricchettona fino a donna in carriera). La colonna sonora fa il resto.
Il tema di questa favola è l'amore tra due "diversi" (cleptomane lui, soggetta a perdita della memoria lei) che si riconoscono in quanto tali e riescono a stabilire - proprio in virtù di questo reciproco riconoscimento - quell'intesa profonda che non trovano facilmente con gli altri. L'importanza quindi del giusto incontro e dell'incastro tra personalità che magicamente "funziona" laddove quasi si stava perdendo la speranza che potesse mai accadere (lui) o la si rimuoveva sotto l'apparenza di una relazione fintamente perfetta (lei). Questo può avvenire solo se prima si è - anche solo intuitivamente - coscienti di se stessi, sia nel senso delle potenzialità che delle imperfezioni. Dall'accettazione della/e propria/e "particolarità" può quindi scaturire l'accoglienza di quella/e dell'altro. Ma questo non è un dato acquisito una volta per sempre bensì la base sulla quale iniziare un percorso assieme, che si rinnova e mette in discussione entrambi di giorno in giorno. Ecco perché il film - come le fiabe postmoderne che scrive il buon Roberto - ha il coraggio di rinunciare all'happy end (anche se lo fa presagire) in favore di un finale aperto, che non conclude, lasciando in sospeso lo spettatore. Le commedie sentimentali spesso terminano con l'inizio della relazione tra i due protagonisti; in questo caso Roberto e Bea, dopo un faticoso processo di avvicinamento, iniziano la loro storia d'amore a circa mezz'ora di film...il resto è dedicato allo sviluppo di questa storia, all'entusiasmo ed ai progressi ma anche alle complicazioni ed alle difficoltà. Un'approccio che quindi evita la banalità e le semplificazioni ma che al contempo si fonda su una profonda fiducia nell'amore inteso come percorso di vita costantemente rinnovantesi.
Pier

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