16 aprile 2017

CINEMA D'ESSAI - “Il grande silenzio” ("Die Große Stille") di Philip Gröning (Germania 2005)

Il grande silenzio di Philip Gröning non è sicuramente un film dalla facile visione. La difficoltà tuttavia non consiste nell'affrontare l'assenza di dialoghi di tutta la durata dell'opera (oltre due ore) quanto piuttosto nelle riflessioni che queste immagini suscitano. Lo spettatore - insieme al regista - entra nel monastero della Grande Chartreuse inizialmente con una sensazione di curiosità, la quale, durante l’osservazione delle giornate dei vari monaci votati al silenzio, si tramuta in attento interesse fino a circa la metà del film, quando si insinua un’insopprimibile ansia che spinge alla necessità di una fuga, ad un’evasione. Non dal silenzio, né dalla noia o dalla totale assenza di avvenimenti ma da se stessi. Questo film mette infatti lo spettatore - purché animato di una sensibilità fertile e recettiva - di fronte a se stesso. I minuti interminabili e forse imbarazzanti dei primi piani dei monaci intenti nello studio, nella lettura, nella preghiera sono pregni di una speculazione introspettiva. Il senso di disagio, di inquietudine che si prova osservando le immagini lo si comprende solo giorni dopo la visione, quando le sensazioni e le emozioni decantano, lasciando spazio alla comprensione dell’aspetto più profondo dell'opera.
Il grande silenzio è la cronaca di una guerra. Una guerra feroce, indomita, che l’uomo in quanto essere sensibile, raziocinante e intelligente ha compiuto per millenni (si considerino a tal riguardo le splendide pagine dei filosofi neoplatonici e gnostici). Lo scontro atroce tra lo spirito e la materia. L’anima e il corpo. Il metafisico e l’immanente. 
Nel suo immenso capolavoro, I fratelli Karamazov, Dostoevskij affronta la stessa tematica. Dopo aver raccontato per diverse pagine la straordinaria levatura e spessore spirituale dello starec (mistico cristiano ortodosso) Zosima, dopo aver descritto attraverso gli occhi devoti e fedeli di Alëša (suo discepolo) la nobiltà e la purezza della sua anima, lo scrittore spiazza il lettore raccontando l’imbarazzo provato da tutti gli astanti che si erano raccolti in devota preghiera intorno al suo feretro. Il corpo infatti, inspiegabilmente prima del tempo e con un’intensità imbarazzante, aveva iniziato ad emanare un odore insopportabile e intollerabile. Come poteva un’anima tanto nobile e superiore essere di colpo tanto terrena e carnale? 
Nel film compaiono, in forma più latente e forse inconscia, gli stessi dubbi. La spiritualità dei monaci emerge e si manifesta in aperta disputa con la loro corporeità. Come possono due aspetti di un uomo tanto diversi, divergenti, opposti e ostili tra loro convivere e spartirsi la sua vita, i suoi sguardi, la sua anima? Dunque, il motivo di tanta angosciosa ricerca di fuga dalla visione è il desiderio di avere una soluzione, una risposta a tale quesito. Ci disturba l’estrema spiritualità di questi uomini ripresi da vicino, con i loro segni di vecchiaia, difetti fisici e finanche bruttezza, come viceversa ci disturba la fisicità di questi elementi nelle immagini di estasi e preghiera. Ci disturba e inquieta il nostro non saper essere giudici di tale lotta, il non saper scegliere categoricamente uno schieramento, il sentirci uomini con l’anima volta alla spiritualità (in questo caso divina) e i piedi nel fango del terreno.
Danilo Giorgi

       

2 commenti:

  1. Caro Danilo, "Il grande silenzio" di Groning l'ho visto, per di più al cinema, quando uscì nel 2005. Ciò che la visione mi ha suscitato è molto distante da quello che emerge dal tuo articolo. Non ho provato affatto lo sgomento di cui parli tu, anzi piuttosto un senso di raccoglimento e di pace. Le immagini del monastero, i ritmi della vita dei certosini, scadenzata dal lavoro e dalla pratica spirituale...quelle atmosfere hanno stimolato in me l'aspirazione alla pace profonda. Come non trovo affatto nel film il significato che tu gli attribuisci in termini di conflitto tra spirito e materia.
    Probabilmente ognuno di noi proietta sulle opere d'arte quello che è il suo sentire: quindi persone diverse possono reagire in modo opposto alla stessa opera...

    RispondiElimina
  2. Indubbiamente ognuno di noi, di fronte a qualsiasi fenomeno, e non solo di tipo artistico, si relaziona con il proprio bagaglio di conoscenze e un odo di sentire del tutto individuale. E' il bello della pluralità e sicuramente una delle molle della conoscenza. Tuttavia ritengo che uno degli elementi fondanti del Cristianesimo verta proprio sul conflitto (a mio avviso ancora del tutto irrisolto) tra l'immanente corporeo e il trascendente spirituale. Resto dell'avviso che molti Padri della Chiesa, numerosi teologi e tantissimi uomini di fede hanno trascorso ore e ore in meditazione e preghiera cercando di scandagliare le ragioni di questo conflitto.

    RispondiElimina