1 aprile 2017

FILM al cinema - "Il diritto di contare" ("Hidden Figures") di di Theodore Melfi

Tratto da una storia vera, raccontata nel libro omonimo della scrittrice statunitense di colore Margot Lee Shetterly, Hidden Figures (letteralmente "figure nascoste", nulla a che vedere col titolo italiano) si distingue nel panorama cinematografico attuale per aver reso nota una vicenda sinora quasi del tutto sconosciuta e, in parte, ancora attuale.
Può il colore della pelle impedire all'intelligenza di affermarsi e può l’essere donna costituire una sorta di "difetto di fabbrica"? Certamente sì, almeno negli Stati Uniti dei primi anni ’60, quando essere di colore - e per giunta anche donne - più che un semplice "difetto" rappresentava una vera e propria pecca. Razzismo e sessismo formavano infatti un binomio esplosivo per un’ingiustizia perfetta colorata tutta di rosa. Eppure la tenacia, la forza intellettuale e spirituale - in una parola la resilienza - di tre donne afroamericane (Katherine Johnson, Mary Jackson, Dorothy Vaughan, insieme a molte altre matematiche sempre afro-americane come Sue Wilder, Kathryn Peddrew, Barbara Holley e Eunice Smith) ha sfondato il muro dell’ignoranza e dell’intolleranza consentendo la realizzazione del sogno americano di conquistare lo spazio, peraltro in un periodo storico di forte tensione mondiale, quello della Guerra Fredda.
Il film presenta profili un po’ convenzionali, a tratti anche edulcorati, ma non risulta comunque banale. Il racconto nel suo complesso è infatti avvincente, riuscendo bene nell’intento di denunciare la stupidità (scontata) della segregazione razziale partendo proprio dalla discriminazione femminile che prescinde dal colore della pelle (anche il secondo marito di Katherine Johnson, all’inizio della loro relazione, dimostra sfiducia nei confronti della futura consorte assoldata dalla NASA). Le tre protagoniste sono perfette nella parte, mentre Kevin Costner è in forma smagliante e la voce che lo doppia stavolta non stona.
La musica jazz fa il resto (fra le tante canzoni si riconosce - ed è un piacere accorgersene - So What nella versione originale di Miles Davis) ed aiuta a far scorrere il film liscio come l’olio sino all’epilogo, con quel tanto di garbo, leggerezza e swing che non guasta affatto, anzi, aggiunge ritmo ed efficacia alla narrazione. Scorrono i titoli di coda e ci si accorge di aver trascorso due ore tutte d’un fiato.
AleLisa

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