18 aprile 2017

EXTRATERRITORIALI - Il genio

Persone indubbiamente più esperte e qualificate di chi scrive - e non necessariamente annoverabili tra le folte schiere di scienziati, specialisti e studiosi - si sono da sempre domandati cosa sia il genio. Analizzando la questione a partire dalle poche certezze che si possono avere in merito si può stabilire che indubbiamente esso appartiene a pochi, pochissimi, mentre viene riconosciuto da moltissimi se non da tutti. Per alcuni il genio è solo talento innato, per altri tanta forza di volontà, per altri ancora la capacità di percorrere naturalmente strade che nessun altro è in grado nemmeno di vedere da lontano, per altri ancora, infine, è sregolatezza e insubordinazione a qualsiasi regola e norma… Per chi scrive il genio è tutto ciò insieme ma con qualcosa di più, ossia il dono innato della creazione. Già la parola stessa “genio” infatti appartiene alla sfera semantica del verbo greco che significa, appunto, partorire, creare, far nascere: del resto che cosa distingue gli uomini dal comportamento degli altri animali se non la sua capacità di creare qualcosa, che li avvicina al divino pur restando vili e mortali esseri terrestri?
Nel campo della musica (in particolare quella classica) il genio viene sicuramente riconosciuto e individuato più chiaramente e con più facilità. Mozart ad esempio stupiva non tanto per la sua capacità di eseguire brani complicatissimi con un’estrema naturalezza, pur essendo un semplice bambino, quanto piuttosto per la sua capacità di elaborare, modificare e variare i brani di ogni tipo. L’arte della variazione era per lui un gioco spontaneo e del tutto naturale. Effettivamente anche oggi sappiamo giudicare un pianista per la sua capacità esecutiva, per la sua profonda conoscenza musicale, per il suo ampio repertorio, eppure, sbalorditi e forse anche conturbati, ci inchiniamo davanti al genio quando l’esperto e bravo pianista non è più semplicemente tale ma si tramuta in creatore, improvvisatore e compositore di alto livello. 
Si prenda ad esempio il caso della pianista di origini cinesi Yuja Wang. Nota inizialmente per essere una bambina prodigio, capace di affrontare i brani più difficili di ogni compositore con spiazzante naturalezza, è poi passata alla ribalta per aver abbattuto tutte le formali e pedanti regole accademiche del mondo della musica classica presentandosi ai concerti con abiti dalle vertiginose spaccature e con minigonne mozzafiato, tacchi a spillo altissimi e scollature che lasciavano poco all’immaginazione. Ma il genio non è qui. Per trovarlo, si deve ascoltare la sua (re)interpretazione del rondò “alla Turca” di Mozart, contaminandolo con elementi jazz e non solo. Ecco dunque che un interprete di altissimo livello, un pianista eccezionale abbandona il terreno di noi mortali (molte persone con moltissime ore di esercizio potrebbero raggiungere alti livelli interpretativi) e accede a qualcosa che è concessa davvero a pochi. Ciò che nasce dalle sue dita è la manifestazione pura del genio, di chi crea e gioca con qualcosa che molti sinora hanno invece solo imparato pedissequamente ad eseguire copiando, quanto più fedelmente possibile, l’originale. Il rondò decolla e si scompone, spiazza l’uditore e lo sorprende lasciandogli al termine quell’amara e malinconica consapevolezza che chi ha suonato appartiene ad un altro pianeta.
A riprova e conferma di quanto scritto si potrebbe vedere lo splendido film di Chris Kraus Quattro minuti (Vier Minuten, Germania 2006), in cui la protagonista stravolge e rivisita il concerto in la minore di Schumann,  trasformando quello che avrebbe potuto suonare in modo sublime e perfetto in qualcosa di semplicemente geniale. Appunto.
Danilo Giorgi

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