7 aprile 2017

POESIA AL CINEMA - Una riflessione su Dino Campana, prendendo spunto dal film "Un viaggio chiamato amore" di Michele Placido (Italia 2002)

L'INVETRIATA 
La sera fumosa d'estate
Dall'alta invetriata mesce chiarori nell'ombra
E mi lascia nel cuore un suggello ardente.
Ma chi ha (sul terrazzo sul fiume si accende una lampada) chi ha
A la Madonnina del Ponte chi è chi è che ha acceso la lampada? C'è
Nella stanza un odor di putredine: c'è
Nella stanza una piaga rossa languente.
Le stelle sono bottoni di madreperla e la sera si veste di velluto:
E tremola la sera fatua: è fatua la sera e tremola ma c'è,
Nel cuore della sera c'è,
Sempre una piaga rossa languente.
(Dino Campana, Canti orfici)

Probabilmente gli insetti lo assalivano giubilando nel bere il copioso sudore che ricopriva il suo collo paonazzo. Dopo aver percorso il lungo tratto di strada da Marradi a Firenze in bicicletta, per vie tortuose e impolverate, Dino Campana nel 1913 si presentò alla redazione di Lacerba proprio così: sporco, impolverato, con abiti vecchi, scarpe sfondate, il viso inquieto e febbrile. Ha fatto tutta questa strada con il cuore in subbuglio e l’animo in fiamme per consegnare ad Ardengo Soffici, suo lontanissimo parente e redattore - insieme a Giovanni Papini - della prestigiosa rivista, il frutto della sua creazione. Nessuna cronaca o testimone dell’epoca riporta come siano andati i fatti ma si può immaginare il volto disgustato di Soffici, vestito all’ultima moda, che riceve tra le mani un manoscritto impolverato, sporco e sgualcito da quello che all’apparenza ha tutte le sembianze di essere un contadino con qualche rotella fuori posto. Assecondando questo strano visitatore Soffici lo liquida dicendo che presto gli comunicherà qualcosa in merito. Passano i mesi ma il silenzio innervosisce Campana che pretende alla fine la restituzione del suo manoscritto. Papini però nega di averlo ricevuto e rimbalza le responsabilità a Soffici, che nega il tutto. Per la mente fragile e sensibile di Campana è l’inizio della fine. In quel manoscritto dal titolo Il più lungo giorno, redatto in un’unica copia, c’è il frutto di anni di creazioni. La rabbia, la disillusione e l’amarezza lo devastano. Egli tuttavia attinge alla parte più profonda di se stesso e riscrive con uno sforzo immane quanto aveva già sentito e scritto creando così i Canti orfici, seconda stesura che raccoglie le sue poesie. Nel 1971, ossia quarant’anni dopo la scomparsa del poeta, verrà ritrovato tra le carte del Soffici proprio quel manoscritto, che si appurerà essere solo in minima parte differente dai Canti orfici.
Una delle anime più profonde del panorama poetico italiano del XX secolo è stato trattato con supponente e presuntuosa alterigia dall’élite culturale che pretendeva di formare, con spirito populistico, l’animo degli italiani. Raccontare la vita di un uomo non è semplice, a maggior ragione quando questo è dotato di un animo profondo e complesso, eppure il film di Michele Placido, Un viaggio chiamato amore del 2002, sembra davvero esser riuscito con tristezza ma anche giustizia a rendere onore all’immensa forza della poetica di Campana.
Danilo Giorgi

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