7 ottobre 2020

Extraterritoriali - Qualche appunto sui "Sillabari" di Goffredo Parise

Ho un amico che scrive su un giornaletto di quartiere, di quelli che trovi gratis dal barbiere o dimenticato al tavolino del bar. E’ uno a cui piacciono tanto parole come “desueto”, “malvezzo”, “sovente”; nutre una profonda passione per “ottuagenario”, così come per l’espressione “a mio avviso”. E’ convinto che queste parole possano salvare la sua scrittura.

Io invece credo che la complessità della vita, e quindi della scrittura, basti a se stessa, senza bisogno di orpelli. Credo anche che la vita sia complessa al punto da essere, spesso, enormemente semplice.

Semplicità e profondità del sentire sono le qualità dei Sillabari di Parise. Inutile da parte mia tentare di scrivere qualcosa di sensato su un tale capolavoro. Mi limito a qualche cenno sul mio preferito: Caccia.

Un mattino di novembre molto prima dell’alba un uomo ancora giovane stava dentro una botte in una palude vicino a Venezia: il cielo era limpido, le stelle si riflettevano nell’acqua, piccoli stormi di anatre passavano in volo nell’oscurità verso il mare ed egli pensò: “Tra poco verrà l’alba”; ma sentì il pensiero volare via dal suo corpo e andarsene insieme alle anatre.

L’autunno, l’alba, delle anatre in volo e un pensiero che vola via insieme a loro. Elementi semplici, quasi rudimentali, ma ecco che dalla vista del suo fucile nell’uomo sorge un desiderio

“Voglio un Purdey, in valigetta di bulgaro con iniziali d’argento e tutto il necessario per la pulizia. Costa milioni ma la vita è così breve.”

Basta un poco di onestà per riconoscere un capriccio.

"Lo guarderò molto nei primi tempi, poi sempre meno".

Ma la vita è troppo breve per badare a queste insensatezze, troppo breve anche per chi è “un uomo ancora giovane”:

“Avrò venti, forse trenta, forse quarant’anni da vivere, poi la vita finirà, ma l’illusione della vita è già finita da qualche anno e non so come fare. Voglio un Purdey” pensò ancora come un bambino testardo.

“I miei desideri sono pochi” continuò a pensare con dispiacere; perché sapeva che la mancanza di desideri è il segno della fine della gioventù e il primo e lontanissimo segno della fine della vita. “Niente mi fa più voglia, salvo la caccia.”

C’è tutto: che la vita è semplice, breve, frivola, a volte stupida, certo mai desueta.

Il sole saliva nel cielo completamente azzurro e guardando con attenzione davanti a sé verso occidente l’uomo vide sorgere dalla grande laguna oltre le ultime barene come dei campanili e delle torri, gli parve udire, con il vento che veniva di là, un lontanissimo ma profondo suono di campane e il cuore riconobbe, di colpo, il campanile di San Marco. Con gli occhi pieni di lacrime si guardò le mani, poi volse lo sguardo appannato alla folaga, tutta raccolta in un mucchietto, con la testa nascosta sotto l’ala come per dormire o per riposarsi dal dolore prima della fine e pensò:

“Quanti anni sono passati.”

gp

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