"Che bel maglione che indossi": perché ridurre Ricomincio da capo a una favola morale è perdere il punto.
(contiene spoiler)
Ricomincio da capo di Harold Ramis è spesso interpretato come una parabola morale, un racconto di redenzione in cui un uomo cinico impara progressivamente a diventare migliore. Il paragone con Canto di Natale di Dickens e con la figura di Ebenezer Scrooge è quasi inevitabile: come il vecchio avaro visitato dagli spiriti, anche Phil Connors si trova costretto da un evento straordinario, un loop temporale infinito, a fare i conti con sé stesso, con i propri difetti e con il modo in cui tratta gli altri. Entrambi vivono una trasformazione che li porta dall’arroganza all’empatia, dalla superficialità alla consapevolezza.
Si tratta di un archetipo narrativo consolidato, capace di produrre quel classico lieto fine “alla Hollywood” dove il protagonista, dopo aver sofferto e imparato, sboccia finalmente a nuova vita. Eppure, per quanto questa chiave di lettura sia legittima e persino stimolante, è improbabile che fosse davvero l’intenzione primaria di Harold Ramis.
Ramis, prima ancora che un moralista o un filosofo, è stato un grande artigiano della commedia. Un autore proveniente dalla fucina creativa del National Lampoon, ambiente che ha plasmato la generazione di comici e sceneggiatori destinati a dominare la scena americana per decenni. Le sue opere sia da sceneggiatore che da regista, da Animal House a Stripes, da Ghostbusters fino a Ricomincio da capo, sono figlie di quella scuola: irriverenti, intelligenti, capaci di destrutturare stereotipi e convenzioni con ironia affilata e irresistibile leggerezza.
Non è un caso, d’altronde, che la parte più godibile del film sia proprio quella in cui Phil è ancora completamente cinico. È in quel segmento che Ricomincio da capo mostra tutto il suo potenziale comico, sfruttando al massimo il talento di Murray per l’irriverenza e il sarcasmo. Una delle scene più esilaranti è quella in cui Phil, ormai stufo dell’entusiasmo invadente del vecchio compagno di scuola diventato assicuratore, gli assesta un cazzotto in faccia proprio mentre sta per abbracciarlo. È un momento di comicità pura, asciutta, perfettamente calibrata, che rappresenta al meglio il tipo di umorismo in cui Ramis eccelleva: diretto, dissacrante, mai gratuito.
In questo film non c’è l’ambizione di un trattato morale mascherato da commedia. Ramis vuole soprattutto raccontare una storia ben congegnata, girata con mano sicura e sorretta da Bill Murray in stato di grazia. L’obiettivo sembra essere quello di regalare allo spettatore 103 minuti di puro intrattenimento, evitando accuratamente la melassa sentimentalista che un tema del genere rende sempre possibile. La trasformazione di Phil è presente, certo, ma è più un motore narrativo che un sermone.
Attribuire al film profondità filosofiche o religiose finisce quasi per non rendere giustizia a Ramis: è come rispondere a una bambina che ci mostra orgogliosa un suo disegno con un “che bel maglione che indossi”. Si perde il punto, si guarda altrove.
Perché Ricomincio da capo è davvero un magnifico disegno: un’opera costruita con maestria, ritmo, ironia e un’intelligenza comica che appartiene solo ai grandi. Un film che diverte, sorprende, e che, senza mai voler essere qualcosa di diverso da sé, è diventato un classico.
Caro Harold, grazie: ci hai regalato un piccolo capolavoro.
Daniele Ciavatti
Ciao Daniele, non condivido per nulla il tuo articolo... Le opere d'arte, soprattutto se di larga diffusione (come questo film, che è anche un prodotto commerciale concepito per raggiungere tanti spettatori), una volta realizzate, possono "vivere di vita propria" anche indipendentemente dalle intenzioni degli autori. Motivo per cui la cosiddetta "forzatura critica" (quel meccanismo per cui si può attribuire ad un'opera un significato che molto probabilmente, anche dalle fonti in possesso degli interpreti, non era nelle intenzioni degli autori) non solo è un'operazione legittima ma a mio avviso può diventare anche stimolante se condotta con una finalità costruttiva dal punto di vista esistenziale (un esempio in tal senso può essere la mia breve recensione di "Ave, Cesare!" dei fratelli Coen). Ciò non toglie che, viceversa, approfondire le biografie degli artisti può essere un utile strumento per interpretare le opere artistiche e soprattutto inquadrarle dal punto di vista esistenziale: personalmente non lo faccio sempre con i registi (molto di più con gli scrittori) ma trovo utile sapere se il creatore di un'opera che mi ha fornito spunti costruttivi e magari, in alcuni casi, incoraggianti riflessioni filosofico-spirituali, sia una persona equilibrata o piuttosto afflitta da malessere e confusione.
RispondiEliminaConcludo precisando che secondo me, nel film in questione, l'approccio da favola morale (sul cambiamento esistenziale di un uomo egoriferito che si apre all'amore del prossimo) è talmente esplicito che è difficile negarlo. E anche questo aspetto è coerente con una certa tradizione della commedia hollywoodiana, basta pensare a certi film di Frank Capra.
Certo Pier, tutto corretto quello che dici. Quello che volevo sottolineare è che certe interprtazioni del film perdono di vista il suo miglior pregio che è la leggerezza. Ciao.
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