19 novembre 2025

FILM in home video - "L’altro volto della speranza" ("Toivon tuolla puolen", Finlandia 2017) di Aki Kaurismäki

 QUANDO IL CINEMA INCONTRA LA PSICOLOGIA  

‘L’ALTRO VOLTO DELLA SPERANZA’ DI AKI KAURISMÄKI: LA RELAZIONE CON L’ALTRO TRA PREGIUDIZIO E COMPORTAMENTI PROSOCIALI

(contiene spoiler)

Ci sono film che puntano a colpire lo spettatore con effetti speciali, azione, velocità, personaggi carismatici o supereroi. Poi ci sono film come ‘L’altro volto della speranza’ (Toivon tuolla puolen, Finalandia 2017) del celebre regista finlandese Aki Kaurismäki, che per 98 minuti ti mettono davanti a una realtà tanto semplice quanto psicologicamente articolata. 

Ci troviamo in Finlandia, in un tempo sicuramente attuale ma non precisato dal regista, e ci vengono presentate le storie di due personaggi, il commerciante di camicie Wikstrom e il rifugiato siriano chiedente asilo Khaled, che finiranno per trovarsi sullo stesso percorso. Una dinamica che ricorda in parte ciò che Paul Haggis nel suo film ‘Crash – Contatto Fisico’ (Crash, USA 2004) ci aveva mostrato: storie che si intrecciano tra loro per mano del destino e temi forti come discriminazione e pregiudizio. Uno slogan dell’epoca che promuoveva il film di Haggis recitava ‘quando ti muovi alla velocità della vita... scontrarsi è inevitabile’. Questa frase si può rivedere nell’opera di Kaurismäki, che volutamente ci mostra dei ritmi lenti, a volte affannosi, e scava nei suoi personaggi in maniera non invadente ma fornendoci dettagli e sfaccettature da mettere insieme per comporre un puzzle fatto di sensazioni, sentimenti e valori forti, caratteristici, profondi. Tempo e spazio sono calibrati magistralmente da Kaurismäki per proporci una realtà slegata da qualsiasi vincolo mentale, applicabile a ogni universo possibile, in cui le dinamiche sono costanti indipendentemente da come le si guardano. Per questo motivo è interessante analizzare ‘L’altro volto della speranza’ dal punto di vista psicologico, poiché presenta temi molto ampi da indagare lasciando a noi ampio spazio di manovra, basandoci sul comportamento osservabile dei personaggi e sul loro background.

RAPPORTARSI CON GLI ALTRI

Il tema principale di cui parlare è sicuramente il rapporto con l’altro. Come ci comportiamo o tendiamo a comportarci quando ci troviamo a interagire con gli altri, specialmente se appartengono a gruppi etnici diversi dal nostro. È dunque inevitabile che il discorso dell’interazione sociale si intrecci con i temi del pregiudizio, della discriminazione e anche dell’aggressività, tutti presenti nel film di Kaurismäki. L’interazione fra le persone è il principale campo di studio della psicologia sociale. Nel dettaglio, la psicologia sociale si occupa di indagare le cause delle interazioni, le conseguenze, le manifestazioni (quindi i comportamenti che le persone adottano) e i processi psicologici coinvolti. Secondo una definizione dello psicologo statunitense Gordon Allport, la psicologia sociale è un’indagine scientifica di come i pensieri, i sentimenti e i comportamenti degli individui siano influenzati dalla presenza degli altri. Questa presenza degli altri non sempre è oggettiva, reale, fisica, ma spesso si tratta di una presenza immaginata o addirittura implicita. La presenza immaginata è una relazione indiretta, che avviene nella nostra mente; in questo caso sarà il modo in cui noi immaginiamo che gli altri possano comportarsi ad influenzarci, più che le sue azioni reali. La presenza implicita, invece, è la relazione che abbiamo con le nostre rappresentazioni mentali degli altri: un esempio di presenza implicita è il pregiudizio negativo, ovvero un insieme di idee, schemi che riguardano spesso una categoria, come gli adolescenti o gli immigrati, come vediamo nel film di Kaurismäki. Dunque, da questa introduzione, capiamo quanto le relazioni con gli altri siano fondamentali e caratterizzino la nostra vita fin dai primi istanti di vita. Siamo animali sociali, come ci insegna Aristotele, e i processi psicologici studiati dalla psicologia sociale si caratterizzano per il tentativo di individuare schemi, tendenze e dare spiegazioni al comportamento degli individui quando sono da soli e quando si relazionano con gli altri. Fin dalla nascita degli studi di psicologia sociale (siamo in Germania alla fine dell’Ottocento) gli approcci per lo studio della cosiddetta ‘mente di gruppo’ erano due: un approccio ‘top-down’, in cui si ipotizza che siano le situazioni collettive ad influenzare il comportamento degli individui, ed un approccio ‘bottom-up’, che suggerisce che siano la personalità e i tratti dei singoli a determinare fenomeni sociali a livello collettivo. Successivamente si sono sviluppate tante correnti e teorie di psicologia sociale; una delle più celebri è la teoria del campo di Kurt Lewin (1951), che ci presenta il contesto sociale come una matrice di forze che generano motivazioni e orientano il comportamento degli individui. In poche parole, il comportamento degli individui è in funzione dell’ambiente in cui si trova e della loro personalità. Nel film di Kaurismäki i personaggi interagiscono tra loro in modi diversi, a volte sorprendenti, e ci portano a inferire situazioni legate alla loro sfera privata, personale. Troviamo personaggi che portano la loro individualità e la loro motivazione in un mondo atipico, fuori dal tempo e dallo spazio, e sarà proprio questa spinta motivante a far sì che si realizzino i loro obiettivi. Wikstrom lascia la sua casa e sua moglie (emblematica la scena in cui ripone la fede nuziale sul tavolo prima di andare via) perché vuole cambiare vita, non si accontenta di ciò che ha: è un commerciante di camicie che vuole trovare abiti più comodi, che si adattino meglio alle sue esigenze. Khaled si trova in Finlandia dopo un viaggio che lo ha portato a girare vari paesi europei; è in fuga dal terrore di Aleppo, ma soprattutto è in cerca della sorella di cui non ha più notizie ma che lui sa, nel suo profondo, essere ancora viva. Due storie diverse, due spinte motivazionali diverse ma che permetteranno ai due protagonisti di creare una sinergia inattesa e a tratti commovente.  Kaurismäki gioca un po’ anche con la nostra percezione, soprattutto quando a inizio film la macchina di Wikstrom quasi investe Khaled ad un incrocio e il commerciante va via con un’aria quasi di disprezzo per il siriano; ma lo fa anche nel primo incontro ‘faccia a faccia’ tra i due, quando Khaled, sorpreso a dormire fuori dal ristorante che Wikstrom ha rilevato dopo aver vinto un’ingente somma di denaro a poker, viene aggredito fisicamente dall’uomo. Ne segue una colluttazione che però è decisamente strana: i gesti e i movimenti dei due sembrano meccanici, come se si trattasse di una ‘forzatura’. Uno scontro atipico, bizzarro, una reazione fisica scollata dalle vere intenzioni dei due. Uno scontro che dal piano fisico può essere analizzato anche dal punto di vista sociale: un’idea di pregiudizio, discriminazione e aggressività che ci aspettiamo da un personaggio come Wikstrom ma che in realtà non gli appartiene e capiamo in seguito, attraverso i suoi comportamenti, quanto sia lontana dalla sua personalità.                                     

DAL PREGIUDIZIO ALLA DISUMANIZZAZIONE

Pregiudizio, discriminazione ed aggressività sono temi comunque presenti e forti nel film di Kaurismäki: la società dipinta dal regista è abbastanza variegata e troviamo, oltre a personaggi empatici e in grado di aiutare il prossimo, anche personaggi completamente ostili, come il gruppo di skinhead finlandesi, che in più riprese nel film infastidisce, minaccia e aggredisce fisicamente Khaled per il solo fatto di essere un immigrato in Finlandia. Per provare a spiegare i comportamenti del gruppo di skinhead possiamo partire dal tema del pregiudizio, che può essere definito come un atteggiamento negativo, spesso ostile verso un gruppo sociale e i suoi membri, basato su stereotipi e distorsioni, alla vera discriminazione, che è un comportamento vessatorio o ingiusto verso il gruppo sociale in questione. La discriminazione, nei casi più gravi, può sfociare nella disumanizzazione, ossia quel processo psicologico attraverso il quale un essere umano cessa di riconoscere l’umanità di un altro individuo o gruppo sociale. Si tratta del meccanismo che, nel corso della storia, ha portato alla messa in atto dei genocidi. Tutto ciò è alimentato dal razzismo, che è una delle forme di pregiudizio più diffuse e note nella storia umana, ma che si fonda su due grandi equivoci: il primo riguarda il concetto di ‘razza’. Biologicamente, gli esseri umani non appartengono a razze diverse poiché non esistono barriere biologiche che impediscano l’incrocio tra i vari gruppi etnici. Il secondo equivoco riguarda l’adattamento e l’istinto di sopravvivenza della specie. L’aggressività è presente in natura, anche negli animali, e si manifesta prettamente per ragioni legate alla sopravvivenza della specie: per procacciarsi cibo, per contendersi il partner o per difendere la prole da attacchi di altri predatori. Nell’uomo, invece, l’aggressività sociale è mossa da istinti diversi: si vuole prevalere sull’altro, limitarlo, danneggiarlo e addirittura annullarlo portando alla sua eliminazione fisica per motivi non solo non inerenti alla sopravvivenza della specie stessa ma che vanno in direzione opposta. Si può verificare discriminazione e persecuzione anche senza pregiudizio: questo è il caso in cui i comportamenti discriminatori vengono perpetrati seguendo delle norme sociali, vincoli istituzionali o pressioni di gruppo. L’appartenenza a un gruppo favorisce un altro fenomeno che è quello della deindividuazione: l’anonimato e la numerosità della folla o del gruppo riducono il senso di responsabilità individuale, aumentando la probabilità di comportamenti antisociali. Questo è stato dimostrato da diversi esperimenti (ad esempio quello di Zimbardo del 1982, nel quale studenti calati nel ruolo di guardie carcerarie hanno attuato comportamenti di tortura verso i loro colleghi nel ruolo di prigionieri) e dà una spiegazione, ad esempio, della dinamica secondo la quale un individuo, quando è in gruppo, può dire cose o attuare comportamenti che non avrebbe mai espresso individualmente.

IL COMPORTAMENTO PROSOCIALE

Wikstrom fa valere le sue idee e i suoi tratti di personalità in un mondo freddo, distaccato e a volte crudele, in cui il governo non concede asilo a Khaled perché la situazione in Siria non è considerata pericolosa (nonostante le notizie che vediamo trasmesse al telegiornale ci presentano una realtà totalmente diversa), e in cui gruppi di skinhead generano un clima di terrore nei confronti degli immigrati in Finlandia, arrivando ad aggredire più volte il giovane siriano. Wikstrom non è mosso da sentimenti ostili ma mette in atto un vero e proprio comportamento prosociale. I comportamenti prosociali si suddividono generalmente in tre categorie: l’aiuto, l’altruismo e la collaborazione. In Wikstrom troviamo sicuramente aiuto e altruismo, quasi accudimento: empatizza con Khaled, lo aiuta, gli dà un lavoro e un posto in cui dormire, lo nasconde dalla polizia, in pratica si prende cura di una persona che ha bisogno. Ma lo aiuta anche nell’obiettivo principale, che rappresenta la spinta motivazionale di Khaled: trovare la sorella. Wikstrom lo fa anche rischiando: come già detto lo nasconde dalla polizia e riesce a far arrivare la sorella dalla Lituania in maniera clandestina. In questo caso troviamo collaborazione tra pari, tra persone in grado di empatizzare con l’altro e unire le forze per aiutarlo a raggiungere un obiettivo importante. Troviamo empatia in Wikstrom probabilmente perché anche lui, come Khaled, sa cosa vuol dire mettersi in gioco e rischiare tutto. Troviamo empatia anche nell’autista del camion che porta la ragazza dalla Lituania: comprende la situazione e rifiuta il pagamento per il favore appena fatto. Troviamo empatia tra pari nella scena in cui Khaled viene aggredito dagli skinhead e viene salvato dall’intervento di un gruppo di senzatetto.

Kaurismäki ne ‘L’altro volto della speranza’ ci mostra tutto questo: non importa in che mondo ci troviamo e quali leggi lo governino. L’essere umano, in ogni condizione, è in grado di provare empatia e aiutare il prossimo. Anche se appartiene a un gruppo etnico diverso. Anche se non c’è un tornaconto personale. Anche se la società intorno tende all’aggressività e rema dalla parte opposta. Il messaggio più importante che viene veicolato nei 98 minuti di durata della pellicola è, probabilmente, proprio questo: possiamo e dobbiamo essere unici, protagonisti della nostra vita, portare avanti le nostre idee spinti dalle nostre motivazioni. Aiutare chi è in difficoltà, mettersi nei panni dell’altro, mettersi in gioco e perseguire un bene comune. Si torna al concetto di speranza, presente anche nel titolo del film: si tratta di un valore prezioso, che ci tiene aggrappati a un obiettivo e ci permette di avere fiducia. Fiducia in noi stessi, negli altri e nelle relazioni. Kaurismäki ci vuole dire questo: nonostante tutto, c’è sempre la possibilità di piantare il seme della speranza.

Marco Aurelio Lorusso

2 commenti:

  1. Un buon film, delicato e dai toni pacati. Il contenuto, tuttavia, è denso di significato; ci richiama alla vita che pulsa e che pretende, a ragione, il suo legittimo spazio a dispetto di ogni ingiustizia subita

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  2. Ciao Marco, interessante il tuo articolo che interpreta il film dal punto di vista della psicologia. Ringrazio anche Alelisa per il suo commento. Altri aspetti dell'opera li abbiamo condivisi durante l'incontro di gruppo. Di seguito vi ripropongo la mia recensione "flash" che ho pubblicato su questo stesso sito nel 2017, dopo aver visto il film al cinema.

    "L'altro volto della speranza" ("Toivon tuolla puolen") di Aki Kaurismaki

    Kaurismaki torna con un lungometraggio dopo "Miracolo a Le Havre" ("Le Havre", 2011), riproponendo tematiche e modalità espressive proprie di quest’ultimo film (e del suo cinema degli ultimi quindici anni). Il regista finlandese ormai è un maestro nel tratteggiare certe peculiari atmosfere o nel dipingere i suoi personaggi, come nello sviluppare quella modalità narrativa che alterna comico e drammatico, sospensioni e riavvii, silenzi e dialoghi icastici. Il rischio che si può percepire stavolta è quello di indulgere un po’ nella maniera di se stesso. Ma si tratta comunque di un’opera notevole.

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