17 dicembre 2013

FILM AL CINEMA - "Lunchbox" di Ritesh Batra

Avviso: l'articolo rivela dettagli della trama del film
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Sotto le mentite spoglie della commedia sentimentale, il film di Batra ci restituisce innanzitutto il senso di due esistenze vuote e sole, monotone e ripetitive, a partire da una cifra stilistica improntata ad un ritmo programmaticamente lento, che a tratti può provocare una certa noia nello spettatore. "Lunchbox" richiede infatti un certo impegno per farsi seguire e purtroppo non conduce né alla catarsi né ad una proposta pienamente costruttiva. Resta invece sospeso, come per la sua intera durata, risultando un po' deludente sotto il profilo esistenziale.
La visione della vita veicolata dall'opera appare infatti sulle prime piuttosto desolante, intrisa com'è di un "materialismo" che non lascia molto spazio ad un orizzonte di significato in grado di conferire valore agli eventi. I due personaggi principali sono ritratti in un contesto quotidiano opprimente, con un'insistenza della rappresentazione sull'evidenza materica (appunto) degli elementi che lo costituiscono: Saajan è spesso ripreso durante il tragitto tra casa e lavoro, nel caldo dei treni sovraffollati; Ila è osservata per la maggior parte tra le quattro mura della sua abitazione, alle prese con il cibo da preparare o con le faccende domestiche (ed anche la madre di quest'ultima è costretta ad occuparsi - controvoglia, come rivelerà lei stessa - del marito malato). Sono entrambi descritti come esseri isolati (Saajan ha perso la moglie, Ila è trascurata dal marito che ha un'altra relazione) e che non riescono a trovare un senso alle loro vite, come viene sottolineato sia dalle scelte di regia che dai dialoghi. Neanche l'amore per la figlia sembra riuscire a dare nutrimento interiore alla protagonista femminile: il personaggio della bambina resta infatti appena sbozzato a livello di sceneggiatura e non riesce ad assumere mai dei contorni netti, anche se qualche passaggio sembrerebbe farlo presagire. L'incontro tra i due non si concretizza e l'amore che ci si aspettava sbocciasse rimane invece inespresso, sulla falsariga di illustri precedenti che vanno da "Breve incontro" ("Brief Encounter", 1946) di David Lean ad alcuni recenti titoli di Wong Kar-Wai. In tal senso il film non risulta certo originale e nell'epilogo lascia l'impressione del già visto, aggiungendo la perplessità estetica a quella esistenziale.
E' pur vero che quest'incontro mancato è foriero di cambiamenti nella vita di entrambi i protagonisti, in termini di una maggiore apertura nei confronti del prossimo per quanto riguarda lui e di una prospettiva di evasione (non si sa quanto vagheggiata o reale) relativamente a lei. Ma, al di là di questi spiragli finali, sono due personaggi secondari a controbilanciare in termini di scrittura il pessimismo enunciato nella descrizione dei protagonisti. Una è la zia di Ila (sempre fuori campo, ne sentiamo solo la voce), donna matura a sua volta alle prese con un marito gravemente ammalato ma del quale si occupa amorevolmente, sempre pronta a sostenere la nipote e a dispensarle consigli; l'altro è Shaikh, il collega di Saajan, orfano che ce la mette tutta per sopravvivere in un mondo per lui non facile e che ha una relazione piena e gratificante con la moglie. Soprattutto da questo personaggio, inizialmente presentato in modo un po' macchiettistico quasi da renderlo antipatico, proviene quanto di meglio il film riesce ad offrirci: una figura che, man mano che si dipana la vicenda, riesce a conquistare con la sua tenerezza ed il suo sincero amore per la vita.
Pier

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