12 maggio 2017

ARTE FIGURATIVA E CINEMA - La speciale banalità del reale

Quando Paul Cezanne decise di rinchiudersi in un totale e volontario isolamento nella cittadina di provincia di Aix en Provence, ormai il suo percorso creativo e artistico aveva intrapreso una modalità talmente intimistica e filosofica che né l’assenza di un pubblico di critici o ammiratori né la mancanza di un confronto con il mondo artistico-culturale assai fertile del periodo avrebbero potuto scoraggiarlo, turbarlo o anche solo distrarlo dal sua atto creativo. Proprio negli ultimi anni del suo romitaggio, infatti, Cezanne riuscì a fondere la sua arte con elementi di mera filosofia e poetica.
Dopo aver abbandonato le teorie impressioniste che volevano una necessaria interpretazione soggettiva della realtà immanente da parte dell’artista, egli, controcorrente, recupera il messaggio dell’arte romantica, ponendo l’oggetto al centro dell’opera creativa scevro da qualsiasi intervento del pittore. L’oggetto, la natura, una semplice cesto o delle mele, diventano non l’instrumentum mediante il quale l’artista si realizza o espone il proprio “io” cavalcando i vari “-ismi” allora in voga ma il fine stesso e ultimo dell’atto creativo come vero e proprio atto di amore. Ancor di più dei pittori romantici, Cezanne però sente la necessità di piegarsi, di inchinarsi con umiltà e modestia di fronte all’oggetto rappresentato che non ha più, a differenza dei romantici, un elemento enfatico o passionale ma la semplicità e l’unicità della sua intima essenza percepita dall’artista. Ecco allora che la natura morta riacquista in lui l’importanza di una ideologia, un paesaggio campestre la completezza di un intero cosmo, un volto la pluralità dell’intera umanità. Non c’è manierismo o fanatismo ma la semplice consapevolezza di quanto l’atto pittorico sia l’esigenza di una rappresentazione del reale o, per dirla come Argan: “una tecnica capace di rendere al vivo la sensazione visiva”.
L’età barbarica (L'Âge des ténèbres) di Denys Arcand (Canada/Francia 2007) è un film decisamente non all’altezza di Le invasioni barbariche (Les Invasions barbares, Canada/Francia 2003): come terzo capitolo della trilogia delude le aspettative dello spettatore, che si trova a vedere un’opera fiacca, banale e a volte anche scontata. Tuttavia, nell’ultima scena, quando il protagonista, ormai deluso dalla vita e dall’umanità, rifugiatosi in un volontario romitaggio a contatto diretto con la natura, osservando un semplice cesto di mele lo elabora fino a vedere uno dei capolavori proprio di Cezanne, si assiste a qualcosa di intenso e forte che riscatta l’intero film con la sua delusione e lascia nell’animo qualcosa di profondo, la stessa che un pittore di un secolo fa aveva compreso ed elaborato con sublime maestria.  
Danilo Giorgi 

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