29 novembre 2025

FILM in home video - "Surrogates" (traduzione letterale: "Surrogati", titolo italiano: "Il mondo dei replicanti") di Johnathan Mostow (USA 2009) ovvero: La regia come impiego d’ufficio

Surrogates di Jonathan Mostow pretende di parlare di alienazione ma finisce per incarnarla alla perfezione. Se Marx vedeva l’uomo separato dal prodotto del proprio lavoro, qui troviamo esseri umani separati dalla loro stessa vita, appaltata a una copia sintetica. Un’idea potente, certo. Peccato che il film la tratti con la stessa partecipazione emotiva di un modulo da compilare allo sportello.

Due aggettivi: superficiale, indiscutibilmente; didascalico, nemmeno per sogno. Nulla, in questa pellicola, suggerisce la volontà di farsi carico del tema che mette in scena. Mostow si limita a premere “play” su un concept che avrebbe meritato ben altro coraggio. Il risultato è un’opera clinicamente fredda, incapace di far trasparire un minimo di urgenza o di visione.

Di un autore, in genere, si avverte almeno un soffio vitale, quel misto di “sangue e merda” che rende autentica qualsiasi espressione artistica. Qui, invece, si avverte solo plastica: la stessa, probabilmente, di cui sono fatti i surrogati.

Il déjà-vu è costante: frammenti di Matrix, ombre di Io, Robot, echi di mille distopie migliori di questa. Non sarebbe un problema se queste suggestioni fossero rielaborate; invece vengono incollate insieme con l’inerzia di chi deve consegnare il prodotto entro la scadenza. Ne esce un collage svogliato, un puzzle dove ogni pezzo sembra fissato solo perché “così si fa”.

Alla fine, il messaggio involontario del film è fin troppo chiaro: per Mostow la regia è un lavoro qualsiasi, qualcosa che si svolge con la stessa passività con cui si timbra un cartellino. Un episodio del più ampio “mestiere di vivere”, direbbe Pavese. Ma qui il vivere, figuriamoci il creare, è un impiego grigio, routinario, senza scintilla.

Daniele Ciavatti

7 commenti:

  1. Alelisa29/11/25


    Non credo che il regista intendesse interessarsi al faticoso ' mestiere di vivere' per scendere nelle nostre profondità.
    Già in Terminator 3 si era distaccato dai primi due episodi della saga diretta da James Cameron ( tutt'altra descrizione, tutt'altra presa nello spettatore).; il regista canadese che, proprio di recente, ha rilanciato il dibattito sull'AI sostenendo di avverci avvertiti nel 1984 ma che nessuno lo ha ascoltato.
    Siamo pure lontanissimi da film come ' Blade Runner' , intenso, profondo indimenticabile, a cui , sempre da molto lontano, sembra fare debolissima eco la ripresa iniziale del film.
    Un racconto distopico, quindi, senza effettive pretese. Ma lo si segue sino in fondo (piacevolmente) consapevoli del suo argine.

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  2. Daniele Ciavatti30/11/25

    Cara Alelisa,

    ti ringrazio per avermi letto e commentato, e per aver arricchito la discussione con i tuoi punti sul regista e su Terminator 3.

    A proposito del film, devo confessare che, nonostante la freddezza generale, la sequenza finale mi ha regalato un momento di inaspettata comicità involontaria!

    Mi riferisco alla scena in cui il tecnico sovrappeso dice all'agente dell'FBI di premere prima 'Enter' e poi 'Yes'. Non ho potuto fare a meno di ricordarmi la gag di Aldo, Giovanni e Giacomo, dove Aldo, alle prese con un cellulare, preme il tasto 'Enter' con enfasi ('En-terì'), e Giovanni ribatte: 'Sì, enterocolite!'.

    A volte, anche un film distopico e serioso come questo può regalare una risata, anche se involontaria!

    Ciao e a presto!

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  3. CONTRO-RECENSIONE di "Surrogates" di Johnatan Mostow

    Cinema popolare con prospettive esistenziali, prodotto di genere dal forte messaggio sociale, opera capace di fondere rappresentazione archetipica ed approccio postmoderno, "Surrogates" è al contempo sci-fi, giallo e action-movie, sceneggiato da John Brancato e Michael Ferris con grande senso del ritmo a partire dalla graphic novel di Robert Venditti e Brett weldele, interpretato con incisiva professionalità da un team assortito di attori (Bruce Willis, Radha Mitchell, Rosamund Pike, Ving Rhames e James Cromwell tra i principali) e diretto con una regia puntualissima dall’ottimo Jonathan Mostow.
    In neanche 85 minuti ci proietta in un mondo di fantasia che rimanda a quello che già stiamo vivendo, facendo percepire allo spettatore (al quale si rivolge indirettamente nell’incipit ancora su schermo nero attraverso le parole di uno dei personaggi) una delle possibili derive che implica il trionfo della tecnica sulla natura. E lo fa attraverso l’impatto immediato di una narrazione fondata sulle convenzioni hollywoodiane seppur rielaborate al fine di produrre il necessario spaesamento in chi guarda. Memorabile l’epilogo.

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  4. Ciao a tutti, non condivido l'opinione di Daniele e infatti ho inserito una mia breve contro-recensione di tono completamente diverso; concordo maggiormente (anche se non completamente) con il commento di Alelisa. E' interessante proprio il confronto tra idee diverse. Il dibattito prosegue con due differenti articoli di Marco sullo stesso film, uno dei quali si può leggere di seguito mentre l'altro, più lungo, viene pubblicato a parte.

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  5. Marco Aurelio Lorusso8/12/25

    "SURROGATES": CACCIA AL RIFERIMENTO STORICO-CULTURALE

    "Surrogates" (conosciuto in Italia anche come "Il mondo dei replicanti") è un film del 2009 diretto da Jonathan Mostow ricco di spunti sociali e psicologici, che stimolano numerose critiche e analisi. Ma questo film parla anche tanto della storia americana. Ci sono riferimenti storici e culturali a stelle e strisce che ho notato nel corso della pellicola e che vorrei presentare come elenco, consapevole del fatto che ce ne sono tanti altri che mi sono sfuggiti (a tal proposito invito chi legge a commentare se ha notato altri riferimenti).

    1) INDIANI D’AMERICA: il film è ambientato in un’America dominata dai surrogati, avatar robotici delle persone in carne e ossa che preferiscono vivere rimanendo dentro casa. C’è però una fetta di popolazione che resiste a questo dominio e che vive in riserve ("reservation" in originale), nome che riporta alla mente le riserve delle tribù indiane. Mostow sicuramente ha scelto questo termine di proposito, mostrandoci come questi essere umani si trovino ormai a essere una minoranza in un mondo ‘colonizzato’ dai surrogati.

    2) TRAUMI DI GUERRA: il personaggio interpretato da Bruce Willis, una volta perso il suo automa, è costretto a tornare a muoversi in prima persone tra le strade della città. Si trova da solo in mezzo a centinaia di surrogati. Ma quello che ci interessa è la sua reazione fisica ed emotiva: è vissuto talmente tanto tempo chiuso in casa con gli elettrodi sul capo che non è più abituato alla vita all’aria aperta: cammina a fatica, ha difficoltà a mantenere le distanze dagli altri e dalle automobili quando si muove e soprattutto ha reazioni di stress molto simili a quelle presenti nei disturbi di "shellshock" (shock da granata): si tratta di un disturbo post-traumatico da stress che era comune nei soldati rientrati dalla Prima Guerra Mondiale e che si manifesta con ansia, panico e disturbi motori. Probabilmente Mostow vuole mostrarci com’è tornare a una realtà abbandonata da troppo tempo e nella quale non c’era forse più speranza di tornare.

    3) SOGNO AMERICANO E PROPAGANDA: "comprate un surrogato e la vostra vita sarà più bella, più facile e vivrete in serenità". Non utilizza proprio queste parole ma il senso di una pubblicità che si vede all’interno del film è proprio questa. Attraverso la propaganda e la comunicazione pubblicitaria si cerca di convincere che i surrogati siano ormai indispensabili per la vita di tutti i giorni. La realtà che si intravede nella pubblicità è quella tipica della propaganda del sogno americano (dagli anni ’50 in poi), in cui venivano mostrate le famose case a schiera nei "suburbs" (sobborghi), tutte molto simili per far parte di un’omologazione culturale, sociale ed economica. La vita nei "suburbs" è bella, facile, felice. Questo passaggio mi ha riportato alla mente “The Truman Show” di Peter Weir (USA 1998), in cui il set cinematografico del reality show incentrato sulla vita dell’inconsapevole Truman Burbank (Jim Carrey) ricalca proprio la vita nei "suburbs", in cui tutto era perfetto, almeno sul copione.

    (continua nel post successivo)

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  6. Marco Aurelio Lorusso8/12/25

    (segue dal post precedente)

    4) BOSTON: tra tutte le città americane, il film ambientato a Boston. Boston è la città considerata la culla della rivoluzione americana, teatro di momenti storici come, ad esempio, il Boston Tea Party. Sicuramente la scelta non è casuale, perché di rivoluzione si parla: c’è un colonizzatore, una resistenza e un futuro incerto che sta degenerando.

    5) DENOMINAZIONI RAZZIALI: nel film sentiamo spesso i surrogati rivolgersi agli esseri umani con l’espressione "sacco di carne" ("metbags" in originale). Un’espressione dispregiativa a sfondo razzista, che negli Stati Uniti rientra in ciò che viene chiamato "ethnic slur" (insulto etnico). Si tratta di insulti e di epiteti ingiuriosi che definiscono l’appartenenza a un gruppo o che a volte sottolineano la differenza socioeconomica (basti pensare al famoso termine "redneck", letteralmente "collo rosso", con cui venivano apostrofati gli uomini provenienti dalle campagne del sud, spesso contadini: allusione al collo bruciato dal sole per le ore passate nei campi). Un film che analizza queste differenze e i difficili rapporti etnici in America è “Fa la cosa giusta” (“Do the right thing”) di Spike Lee (USA 1989).

    E voi siete d’accordo con questi riferimenti? Siete riusciti a trovarne altri? Se volete potete scriverli qui sotto nei commenti.

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  7. Ciao Marco, interessante la tua ricognizione...al momento non mi vengono in mente altri riferimenti

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