12 giugno 2012

APPROFONDIMENTI - Breve storia del western all'italiana (5)

5. Il western farsesco e il canto del cigno
Nel 1969 si registra la produzione di soli trentuno western, meno della metà dell’anno precedente: il filone sembra aver esaurito le sue potenzialità ed avviarsi verso il declino. Ma l’anno successivo Enzo Barboni, già direttore della fotografia, dopo aver esordito con "Ciackmull, l’uomo della vendetta" (1970), dirige "…Lo chiamavano Trinità" (1970), un film dalla comicità dirompente e dotato di tocchi surreali, destinato a ridare vita, per qualche anno, al filone, inaugurando il periodo del western farsesco. Incentrato sulle vicende di una coppia di fratelli, Trinità (Terence Hill) e Bambino (Bud Spencer), il film smussa quella carica violenta che fino ad allora era stata caratteristica peculiare di buona parte del filone: diminuiscono le sparatorie e il numero dei morti a favore di interminabili ed acrobatiche risse. I luoghi comuni del western, soprattutto di quello italiano, vengono messi in burla uno dopo l’altro. I meccanismi comici del film si richiamano direttamente alle gag del cinema muto, alla slapstick comedy e alle torte in faccia: d’altronde Trinità e Bambino, magro e furbo il primo, grosso e ingenuo il secondo, sono una variante della coppia comica alla Stanlio e Ollio.
"…Lo chiamavano Trinità" ottiene un enorme successo di pubblico, consacrando Bud Spencer e Terence Hill come coppia comica. Il regista gira immediatamente un seguito, "…Continuavano a chiamarlo Trinità" (1971), che incassa ancora più del primo.
Sull'onda del successo dei film di Barboni, negli anni successivi si moltiplicano i western comici, basati su personaggi ai limiti della caricatura e su situazioni sempre più paradossali. Nella maggior parte dei casi si tratta di film di scarso valore, come "La vita a volte è molto dura, vero Provvidenza?" (1972) di Giulio Petroni o "Il bianco, il giallo, il nero" (1974) di Sergio Corbucci. Con "Carambola" (1974) di Ferdinando Baldi, interpretato da una coppia di attori fisicamente rassomiglianti a Bud Spencer e a Terence Hill, si arriva addirittura alla dichiarata imitazione dei Trinità.
Uno dei film più riusciti di questo periodo é "Amico, stammi lontano almeno un palmo…" (1972) di Michele Lupo, che narra le vicende di due vagabondi (Giuliano Gemma e George Eastman), alternando i toni da commedia ai risvolti malinconici. Tonino Valerii, invece, firma il western più ambizioso del sottofilone, "Il mio nome è nessuno" (1973), che propone il confronto fra passato e presente attraverso il rapporto fra due pistoleri, il maturo Jack Beauregard (Henry Fonda, l’attore del western classico e di "C’era una volta il West") e Nessuno (Terence Hill, il protagonista della serie di Trinità): purtroppo il film è riuscito solo in parte, a causa del contrasto fra il registro epico e quello comico, che non risultano bene amalgamati.
Uno degli ultimi western farseschi è "Un genio, due compari, un pollo" (1975) di Damiano Damiani, che ha come protagonista ancora una volta Terence Hill. 
Verso la metà degli anni settanta il western all’italiana è praticamente finito. Il filone, all'epoca del primo Trinità, era già in fase di declino e i film di Barboni ne hanno ritardato di qualche anno l’inevitabile fine.
Se nel 1972 vengono prodotti ben quarantotto western, la cifra scende a undici nel 1974 e a tre nel 1976… Gli ultimi film del filone inclinano sempre di più verso toni grigi e autunnali, come "I quattro dell’apocalisse" (1975) di Lucio Fulci. Contrariamente a quanto possa far pensare il titolo, si tratta di un western antispettacolare ed antinarrativo, con pochi e brevi momenti di violenza, che narra il vagabondaggio di quattro sbandati (un giocatore professionista, una prostituta incinta, un alcolizzato, un nero soggetto ad allucinazioni) rimasti nel deserto senza armi e senza cavalli, che per di più devono vedersela con un bandito schizofrenico (Tomas Milian), simile, nell’aspetto, ad un hippie ante litteram.
Due suggestivi film "crepuscolari" chiudono un'epoca e intonano il canto del cigno dell’intero filone.
"Keoma" (1976) di Enzo G. Castellari si riallaccia alle atmosfere del sottofilone "nero", spingendone alle estreme conseguenze l'immaginario visivo gotico e funereo: la vicenda è ambientata in un paese afflitto da un'epidemia di peste ed il protagonista, che più di una volta dialoga con la Morte, passa addiritttura attraverso la crocifissione. Scandito da un’originale colonna sonora dei fratelli De Angelis e diretto con uno stile molto personale (con frequente uso dello slow motion durante le scene d'azione), il film, che alterna toni eroici e tragici, è incentrato sulla figura di Keoma (Franco Nero), un mezzosangue che si scontra con i suoi tre fratellastri, oltre che con un prepotente signorotto locale.
"California" (1977) di Michele Lupo narra invece la travagliata vicenda dell’omonimo protagonista (Giuliano Gemma), un reduce confederato che, al termine della Guerra di Secessione, deve vedersela con i nordisti inferociti e con degli spietati cacciatori di taglie. Film dai toni dimessi e malinconici, molto giocato sulle atmosfere e girato con un eccellente utilizzo dei tempi narrativi, nonché commentato dalle suggestive musiche di Gianni Ferrio, "California" rappresenta un’ideale congedo del western all’italiana. 
Pier

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