4 giugno 2012

FILM AL CINEMA - "Il primo uomo" ("Le premiere homme") di Gianni Amelio

Gianni Amelio prende le mosse dall’omonimo romanzo autobiografico di Albert Camus per raccontare una storia familiare e sociale, ricca di vita e tragedia, forse alludendo anche al proprio vissuto personale, segnato da forti difficoltà come quello del protagonista Jacques Cormery. Lo spettatore accompagna Jacques, alter ego dello scrittore premio Nobel nel 1957, nel viaggio a ritroso che egli compie nella sua vita quando, da adulto affermato e di successo, ritorna nell’Algeria della sua infanzia (terra alla quale si sente ancora profondamente legato), dilaniata dal conflitto sociale e politico che Gillo Pontercorvo ci ha già mostrato, con cruda evidenza, ne "La battaglia di Algeri" (1966). Qui i toni sono più sfumati ed il dissidio storico resta maggiormente sullo sfondo: prevale la narrazione dell'esperienza interiore del protagonista, affrontata con un linguaggio asciutto ed essenziale ma denso di emotività, espressione di valori civici tanto attuali quanto inattuati quali la condivisione, la convivenza pacifica, il rispetto di radici storico-culturali differenti, la giustizia, la gratitudine.

Il regista, sapientemente supportato dalla fotografia di Yves Cape, dà vita ad immagini di paesaggi e strade, talvolta sfocate, più spesso luminose, sempre comunque calde ed intense come i personaggi che popolano la vicenda, i volti dei quali sono restituiti in modo soprattutto statico e tuttavia pienamente espressivo, quasi a suggerire che le troppe parole potrebbero disturbarne il delicato equilibrio, la vibrante umanità. Nel film infatti i sentimenti vengono manifestati sottovoce, attraverso una modalità di racconto composta, che riesce a trasmettere quell’autenticità in grado di rendere sinceramente partecipe lo spettatore.
Il tuffo in un passato duro e spesso triste consente a Jacques di ricercare tra le pieghe della propria storia - e di quella del popolo algerino - le proprie origini più profonde fino a trovare la conferma della propria identità attuale costruita tra il suolo d'Algeria (l'infanzia e la prima giovinezza) e quello di Francia (gli anni dell'Università e quelli dell'affermazione professionale). Lasciandoci convincere dal viaggio indietro nel tempo di Jacques ci si potrebbe addentrare nel nostro mondo di ricordi per riconoscere ed accettare così le nostre radici interiori, quelle che ci rappresentano per quello che intimamente ancora siamo pur se proiettati in una nuova dimensione di vita. Un flashback che potrebbe aiutarci a vivere.
AleLisa

1 commento:

  1. Il film non mi aveva entusiasmato ma la tua recensione me lo ha fatto vedere da un altro punto di vista, facendomene apprezzare maggiormente le qualità...preferisco quindi lasciare da parte le mie riserve e non aggiungere altro a quello che hai già scritto tu...

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