14 giugno 2012

FILM AL CINEMA - "Cesare deve morire" di Paolo e Vittorio Taviani

"Da quando ho conosciuto l'arte questa cella è diventata una prigione!".
In questa frase pronunciata da uno dei protagonisti c'è tutta la potenza del valore consolatorio dell'arte, che in alcuni casi - come per gli interpreti di questo riuscitissimo film - diventa salvifico. E per dimostrare questa ardita tesi sono sufficienti 76 minuti di proiezione.
Tornano alla memoria altri film italiani del passato che legavano realtà e finzione (tema pirandelliano tornato quest'anno alla ribalta anche con "Magnifica presenza" di Ozpetek), carcere e spettacolo, attori e detenuti: "Scugnizzi" (1989) di Nanni Loy e "Fatti della banda della Magliana" (2005) di Daniele Costantini. Al film di Loy non venne tributato grande successo: forse la critica e il pubblico non erano ancora pronti ad accogliere certe tematiche. Costantini invece non riuscì a dare spessore alla trasposizione filmica, rimasta quasi in sospeso tra reportage e libera interpretazione dei fatti, ripresi dagli atti processuali e interpretati alternativamente da detenuti di Rebibbia ed attori.
Con "Cesare deve morire" Paolo e Vittorio Taviani riconquistano una freschezza e una volontà di sperimentazione sorprendente per due ottuagenari. Il loro docu-fiction si riassume in poche parole: a Rebibbia alcuni carcerati di massima sicurezza, seguiti da un regista teatrale, allestiscono in pochi mesi una pièce teatrale tratta dal "Giulio Cesare" di Shakespeare per rappresentarla ad un pubblico esterno nel teatro stesso del carcere.
Shakespeare, che scriveva per il popolo, sarebbe probabilmente lieto di vedersi rappresentato da ergastolani, rapinatori, camorristi, i quali, nel vestire i panni degli eroi del testo, rivivono in proiezione brandelli delle loro stesse esistenze, proprio perché i temi trattati vanno dal tradimento all'amicizia, dall'amor di patria al fascino dell'ambizione ed ovviamente coprono momenti universali della storia di ogni uomo. La scelta linguistica - i detenuti recitano nei loro dialetti d'origine - rafforza l'immediatezza con la quale l'individuo/attore/personaggio si esprime e ricerca il suo io/uomo.
Finalmente il cinema italiano viene pluripremiato da pubblico e critica anche per la funzione sociale che svolge: per chi è in carcere, scavando nelle pieghe profonde di se stesso in un percorso di evoluzione, e per gli spettatori, trasmettendo il messaggio che anche l'individuo più distruttivo e reietto resta un essere umano degno di ulteriori possibilità catartiche al punto da rendersi consapevole che l'arte è comunque liberatoria. 
Carla Costanzi

1 commento:

  1. E' piaciuto molto anche a me...probabilmente uno dei film più belli che ho visto ultimamente... Per il resto lascio la parola al tuo articolo...

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