30 gennaio 2013

FILM AL CINEMA - "Django Unchained" di Quentin Tarantino

E' un film scritto bene, girato al meglio e con attori in gran forma, nella migliore tradizione tarantiniana. L'autore stavolta eccede però nella violenza, con troppe scene crudeli e splatter, nonostante si percepisca dall'inizio alla fine il tono da baracconata da non prendere troppo sul serio. "Django Unchained" recupera la peculiarità più deteriore del western all'italiana e la aggiorna ai tempi, con aggiunta di messaggio sociale sullo schiavismo razzista degli USA pre-Guerra Civile.
L'aspetto più interessante dell'approccio di Tarantino risiede nell'eredità leoniana (sempre aggiornata ai tempi), che si nota nelle caratterizzazioni archetipiche dei personaggi e nell'andamento solenne della narrazione, oltre che nella capacità di creare delle atmosfere di forte impatto suggestivo attraverso una sapiente combinazione di dialoghi ad effetto, direzione degli attori, contrappunto musicale e soluzioni di regia: è questo che può dare ai suoi film (ed anche a questo in parte) una valenza catartica, elemento che può anche aiutare a vivere, magari preso in piccole dosi ed in maniera "omeopatica". Ma questo meccanismo riesce meglio in altre sue opere, in questo western post-moderno invece l'eccesso granguignolesco forza la rappresentazione in una direzione disturbante, mentre le pretese politiche stridono con l'apparato ludico. In fondo sembra che si voglia far passare attraverso la copertura ideologica un'idea di messinscena che fa leva sugli istinti più bassi dello spettatore. Sarà pure grande cinema ma quanto ci aiuta a vivere?
Pier

8 commenti:

  1. Secondo me potrebbe anche essere un film che non aiuta a vivere ma che da le soddisfazioni e lascia una chiara sensazione che non si tratta di un film qualunque ma un filmone: il film dura quasi tre ore ma non ti accorgi, attori assolutamente azzeccati specialmente Di Caprio nel ruolo di un cattivissimo proprietario terriero sembra il diavolo in personam, dialoghi pieni di ironia e humor in stile tarantiniano che non offende la intelligenza, storia narrata in modo sorprendente e coinvolgente. Sono d'accordo con Pier che ci sonno tantissime scene di violenza ma fatte in modo cosi esagerati che sono quasi ridicole. Per me è un film da non perdere.

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    1. Ciao Emina, non so se sono più d'accordo con il tuo commento o con la mia recensione :-)

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  2. Per chi come me è del tutto a digiuno di genere western, come pure non proprio seguace di produzioni di tarantiniana fattura, cimentarsi nell'ardua recensione di un western di Tarantino è risultata a mio avviso una sfida davvero interessante!
    Cast azzeccatissimo, pensato nei minimi dettagli, ricercato. Superfluo parlare della straordinaria interpretazione dell' istrionico Di Caprio che, riuscito finalmente a scrollarsi di dosso il personaggio del Titanic, il Jack dagli occhi azzurri e il viso angelico, da alcuni anni ci incuriosisce con interpretazioni di particolare intensità.
    Pollice verso invece per il cameo di Franco Nero, molto sfocato e stiracchiato, con il risultato di un omaggio forzato di cui si poteva tranquillamente fare a meno.
    Sicuramente sin dall'inizio del film ho fatto il tifo per la coppia carismatica di Christoph Waltz, il verboso ed esilarante Dott. Schultz, e di Jamie Foxx, lo scatenato (in tutti i sensi) Django, dalla forte presenza scenica, volutamente esagerata.
    Ebbene forse è proprio il Tarantino sceneggiatore, dai dialoghi a volte esasperati, che ho apprezzato di più in questa pellicola, regalandoci dei momenti di puro divertimento e riuscendo a sdrammatizzare ed allegerire alcune realtà che altrimenti sarebbero risultate davvero pesanti da raccontare. Indimenticabile la sequenza alquanto grottesca del Ku Klux Klan, una scena di stupefacente ironia.
    Come pure la violenza che narra è sì fuori misura, esagerata, sanguinosa e ai limiti dello splatter ma non drammatica o inquietante, volutamente irreale.
    Discorso a parte va fatto per la strepitosa colonna sonora, un vero capolavoro! Le scene incalzano principalmente al ritmo della black music e del suono italiano degli anni Settanta. Onore ai pezzi originali, realizzati appositamente per il film: Ancora qui, il brano scritto da Ennio Morricone con testo e voce di Elisa paralizza per alcuni attimi lo spettatore per quanta commozione fa arrivare in gola, mentre colpisce in originalità Freedom, un moderno gospel blues dal ritmo western interpretato da Anthony Hamilton ed Elayna Boynton.
    Sicuramente per i brani recuperati dalle colonne sonore di altri film western ci si può azzardare ad associare questo film al genere dello spaghetti western, ma dunque io mi domando: "In fondo, Django Unchained è uno spaghetti western classico, oppure no?"
    Sembrerebbe proprio di no, per quanto non esperta del genere, è universalmente riconosciuto il clichè dei pistoleri cattivissimi, quando non della banda di messicani spietati, le ambientazioni nei ranch, o saloon che dir si voglia...insomma un western ambientato in piantagioni di cotone del Mississippi per affrontare un tema delicato ed importante come la schiavitù è decisamente fuori dai canoni.
    A onor del vero, Tarantino ha ammiccato al genere, divertendosi come sempre nella regia, ma ha voluto raccontare il suo cinema, quello tipicamente buffonesco e tragico, dove alla fine debbono sempre prevalere i buoni sui cattivi, destinati questi ultimi ad una classica brutta fine.
    Ma qui il regista supera addirittura se stesso: rappresenta sullo schermo una rivincita afroamericana che non c'è mai stata, e ce la sbatte in faccia a tutti. Complimenti per il coraggio!
    E quindi, ancora una volta, evviva Tarantino per essere riuscito ad appassionare anche una allergica al western e alla violenza ostentata come me.
    Per rimanere in tema con il blog, per me sì è un film che aiuta a vivere.

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    1. Ciao Angela, ho apprezzato parecchio la tua recensione, accurata ed approfondita molto più della mia...probabilmente si intuisce che l'ho scritta senza troppo entusiasmo...
      Condivido le tue frasi elogiative su cast, sceneggiatura e colonna sonora...come anche quello che scrivi a proposito del raffronto col western italiano, chiamato in causa come canovaccio iniziale per poi imboccare anche altre strade.
      Resto ancora perplesso sulla valutazione complessiva ma, dopo aver letto Emina e te, penso proprio che rimetterò in discussione l'opinione iniziale con una seconda visione al cinema! :-)

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  3. Coinvolgente, divertente, emozionante. L'attenzione dello spettatore è catturata sin dalle prime sequenze del film e si mantiene costante sino alla fine. Lo splatter non guasta, anzi, prestato al western di Tarantino, diventa quasi perfetto. Il tema dello schiavismo ante guerra civile arricchisce di senso l'opera ed accresce l'interesse dello spettatore non appassionato al genere western. Da non perdere.

    Alessandra

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  4. Dopo la seconda visione confermo quanto ho già espresso ed aggiungo qualche riga ad ulteriore precisazione.
    Già manierista per vocazione, Tarantino arriva qui alla maniera di se stesso, fino all'autocitazione. Il personaggio di King Schultz è evidentemente debitore dell'Hans Landa di "Bastardi senza gloria": tedesco anche lui, simile nei gesti, nelle movenze e nella capacità dialettica, nonché interpretato dallo stesso attore. E' come se fosse un'evoluzione del colonnello, depurato dalle connotazioni peggiori e quindi convertito ad una giusta causa. Ed anche le sequenze che si caricano di tensione attraverso il climax dei dialoghi e lo studio dell'atmosfera sono debitrici del suo film precedente.
    Ma se comunque, nonostante questi limiti, non si può non riconoscere che anche stavolta Tarantino abbia saputo fare del grande cinema, dal punto di vista esistenziale invece la questione è più complessa e i dubbi su quanto "Django Unchained" possa effettivamente aiutare a vivere restano notevoli.
    La rappresentazione cinematografica della violenza, come si è già detto diverse volte, può avere una valenza catartica, inducendo in chi guarda una sublimazione della pulsione aggressiva. Ma in un film come questo si va oltre, proprio nel compiacimento messo in atto nell'illustrazione della crudeltà, fino al sadismo, sia in termini visivi che psicologici. Il meccanismo è semplice: l'autore prima calca la mano sulla ferocia degli oppressori in modo da indurre lo spettatore ad empatizzare col protagonista e ad immedesimarsi poi pienamente nella vendetta spietata che segue. Questo tipo di messinscena non si limita alla catarsi ma giunge a sollecitare la parte distruttiva di chi fruisce. In tal senso riprende l'aspetto più deteriore del western all'italiana, già stigmatizzato da una parte della critica dell'epoca. Forse alcuni detrattori di certe tendenze non avevano poi così tutti i torti...

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  5. Sono d'accordo con le considerazioni di Pier.
    Se devo dare un giudizio personale al film, direi che non mi ha lasciato una bella sensazione e non lo annovero tra i "bellissimi" che ho visto ultimamente.
    Le troppe scene di violenza per quanto calcate al fine da risultare surreali, narrano in realtà fatti veramente accaduti e sono argomento dominante della vicenda.
    Non metto in dubbio la bravura degli attori, indiscutibile, dirompente l'interpretazione di Leonardo DiCaprio, spettacolari i paesaggi, stupenda la colonna sonora...
    C'è violenza in molti altri film, tuttavia questo mi ha lasciata "provata" molto più che in altri.
    Fatto bene dal punto di vista tecnico; concordo sul fatto che non aiuta a vivere.
    Ciao!

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    1. Ciao Giulia, prendo spunto dal tuo commento, nel quale ti sei espressa in una maniera immediata ed emotiva che facilita la comprensione... Il fatto che il film non ti abbia lasciato una bella sensazione e che la violenza ti abbia "provata" sono indicativi a mio avviso...Non sei l'unica ad aver dato questo tipo di feedback. Quello che "Django Unchained" veicola è un distillato di odio, perversione ed efferatezze: non mi stupisce che possa produrre quest'effetto. Ma non mi stupisce neanche il contrario, cioè che per altri sia uno spettacolo piacevole o quantomeno indifferente. I motivi credo possano essere due. Innanzitutto perché si è instaurata una certa abitudine a rappresentazioni di questo tipo per cui non se ne riconosce più neanche l'effetto disturbante che provocano a livello percettivo. In secondo luogo perché la dimensione artistica prende il sopravvento su quella esistenziale, nel senso che ci si trova a seguire la vicenda incantati dal talento narrativo, dalle soluzioni visive, dalla recitazione degli attori, dalle battute di dialogo, dalla musica…e non ci si rende neanche conto di essere trascinati man mano in una palude di malessere e confusione. La sollecitazione che viene operata nei confronti della pulsione distruttiva dello spettatore è quindi tanto più potenzialmente elevata in quanto la messinscena sfodera tutte le armi della suggestione cinematografica, del potere di fascinazione proprio della trasfigurazione estetica del reale.

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