20 maggio 2013

FILM AL CINEMA - "Il Grande Gatsby" ("Tha Great Gatsby") di Baz Luhrmann

Il film inizia: un decollo vertiginoso. Colori forti, espressioni scenografiche e fotografiche che rasentano il fumetto, la favola...e difatti ci troviamo nel pieno boom economico della New York del 1922. Anche i personaggi sono fortemente caratterizzati nella loro presentazione: donne bellissime dal portamento manierato, abiti favolosi, gioielli, uomini elegantissimi, appassionati di automobili sfreccianti, ville di lusso, servitù impeccabile.
Nick è incuriosito dal misterioso suo vicino di casa: Gatsby. Casa? Un castello da sogno, nel quale, senza bisogno di ricevere l'invito, il bel mondo della grande metropoli si scatena periodicamente in feste danzanti dove si sfoga lo sfarzo più ricco e sfrenato. E fino a questo punto, parlo da spettatrice, si viene travolti dal tutto: balli, fuochi d'artificio, musica (contemporanea, cioè proprio dei giorni nostri), fiumi di champagne, promiscuità, capogiro. 
La partenza vorticosa del film però perde tensione man mano che scorre la storia, fino a quella che dovrebbe essere la scena del confronto importantissimo tra due uomini che si contendono la stessa donna, resa più claustrofobica dal caldo newyorchese che dai dialoghi. Niente emotività, poca passione (intendo quella che viene dall'anima) e troppa esteriorità, sicché l'opera risulta fredda, come una scia di luce che man mano perde consistenza. 
La trama è nota (dal romanzo omonimo di Francis Scott Fitzgerald del 1925): Gatsby, ricchissimo personaggio dal passato ambiguo e probabilmente oscuro, vorrebbe ritrovare l'amore perduto cinque anni prima, Daisy: la vicenda si sviluppa in un intrecciarsi di eventi fino all'epilogo. 
Il regista Baz Luhrmann (tra i suoi film mi piace ricordare i bellissimi "Romeo + Giulietta" nel 1996 e "Moulin Rouge" del 2001) con il grande Gatsby sembra aver perso quota in corso d'opera. Però consiglio comunque agli amici cinefili di vederlo perché si tratta pur sempre di un esempio di grandiosità del cinema e per la gustosa ricostruzione del clima della New York degli anni '20 (pur ammettendo di non sentirmi pesonalmente attratta dal romanzo di Fitzgerald).
Leonardo DiCaprio è più che apprezzabile nel vestire in maniera felina i panni di questo personaggio solitario, ammirato e sostenuto solo da Nick, un Tobey Maguire dal piglio sempre stupito, teneramente ingenuo, gioioso ma assennato. L'unico capace di comprendere profondamente l'animo tormentato ma alimentato dalla speranza dell'amico Gatsby. Bella e bionda Carey Mulligan, alla quale però preferisco la bruna, Elizabeth Debicki. Tutti attori di spessore anche gli altri, da Isla Fisher a Joel Edgerton. Migliaia di comparse sgambettanti, notevole colonna sonora.
Simona Ciammaruconi

2 commenti:

  1. "Il grande Gatsby" di Baz Luhrmann
    Il grande Gatsby in chiave hollywoodiana contemporanea. Ovvero luci e colori sfavillanti, costumi bellissimi, feste strepitose a base di danze sfrenate, musica ed alcool a go-go. Ed ovunque divertimento, risate e soldi (tantissimi, troppi). Questa la cornice del film del cineasta australiano (co-sceneggiatore della pellicola insieme a Craig Pearce), che riproduce con fedeltà l’omonimo libro di Francis Scott Fitzgerald da cui l’opera è tratta (sono, infatti, pochissime le digressioni rispetto al testo originale).
    L’intento è quello di rappresentare l’America graffiante dei ruggenti Anni ’20, al cui interno prende corpo il sogno, che andrà presto in frantumi, di Jay Gatsby, l’uomo per cui il passato può e deve ripetersi. Dal linguaggio asciutto e diretto dello scrittore americano si passa a quello decisamente roboante e frastornante di Baz Luhrman, ricco di inquadrature esageratamente luccicanti. Azzeccata la scelta del protagonista maschile: il bravo Leonardo Di Caprio ricorda bene il Jay Gatsby uscito dalla penna dello scrittore americano, il quale visse molto da vicino l’età brillante del jazz (qui inspiegabilmente sostituito dal rhythm and blues) e del proibizionismo d’oltreoceano.
    Jay Gatsby è l’unico personaggio, nel romanzo come nel film, che, insieme a quello della voce narrante Nick Carraway (interpretato da un timido e quasi impacciato Tobey Maguire), si salva in mezzo ad una pletora di figure mediocri, profondamente marce (come lo stesso Nick Carraway le definisce), noncuranti di tutto e di tutti tranne che di sé stesse. In questo contesto, l’amata Daisy (una dolce Carey Mulligan dallo sguardo opaco e confuso) non è dissimile dal marito di lei Tom Buchanan (un convincente Joel Edgerton dai modi rozzi, egoisti e superficiali), entrambi intimamente corrotti e viziati dagli agi del lusso nonché spregiudicatamente avvezzi alla più completa irresponsabilità. Solo Jay Gatsby sa amare fino in fondo - arrivando a sacrificare sé stesso - con l’ardore, il trasporto ed il sentimento di cui spesso solo gli ultimi sono capaci. E ciò nonostante lo stesso Jay non abbia una moralità specchiata (il suo denaro infatti è frutto di attività illecite compiute allo scopo di coronare il desiderio smisurato di successo e di riconquista dell’amore perduto). Il mondo dei sogni che gli appartiene lo proietta comunque in un futuro - pur se rovinoso - in grado di riscattarlo.
    Una sottile ansia accompagna la visione del film fin quasi dall'inizio. Qualcosa di simile alla curiosità sottile, sorda e penetrante che rapisce il lettore del romanzo del cantore dell’epoca del jazz. Ma è una tensione in qualche modo positiva perché sebbene l'opera termini nel sangue e nella delusione del sogno irrimediabilmente infranto, quella che ci rimane impressa è l’immagine di un uomo, il grande Gatsby, sì ambizioso ma comunque "migliore" perché in grado di rischiare tutto, per amore, nel tentativo di conquistare la sua personalissima, fragile, umana felicità.
    AleLisa

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  2. Non ho letto il romanzo di Fitzgerald né sono andato a vedere questo film di Luhrmann... Ho visto la versione del 1974, diretta da Jack Clayton e interpretata da Robert Redford: mi ha comunicato una visione della vita estremamente desolante che non mi ha spinto ad approfondire... :)

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