14 maggio 2013

FILM AL CINEMA - "Miele" di Valeria Golino

Ascoltando distrattamente alla radio un'intervista a Valeria Golino relativa al film "Miele", ho colto un concetto che ha catturato la mia attenzione: lei diceva che l'intento dell'opera era quello di far cambiare allo spettatore il proprio punto di vista "anche solo per un momento"...
Il tema è l'eutanasia. Intanto un grande plauso alla Golino che, entrando in un ambito così pericoloso e nevralgico, ha saputo fare un film intenso, equilibrato, severo, intriso di malinconia e dolcezza. 
Irene, Miele (nome fortemente appropriato al suo intento), aiuta i malati terminali che vogliono porre fine alla loro sofferenza a morire. Il suo passo è dolce e sicuro. Crede in quel suo "lavoro" che svolge con dedizione in maniera naturale e consapevole. La sua vita si nutre di mare e musica, ha perso la madre precocemente ed il suo rapporto col padre è sereno. 
Un giorno riceve la richiesta di eutanasia da un ingegnere che lei pensa essere un malato terminale. Quando scopre che il "paziente" in questione non è malato ma una persona sana che semplicemente vuole lasciare questo mondo, lei prende una decisa e precisa posizione perché come dirà: "Non aiuto a morire i depressi". Tra i due, fortemente motivati dai rispettivi principi, scaturisce un confronto umano importante. 
Questo film mette gli spettatori in condizioni di non emettere giudizio alcuno. Emerge una realtà che abbraccia tutti i punti di vista, perfino quello dello spasimante di lei, che, esterrefatto, quando scopre l'attività di Irene la maltratta ciecamente... lui non comprende come invece comprendiamo noi perché a noi è stata data la possibilità di guardare da vicino, siamo entrati con discrezione in una realtà profondamente drammatica ma vera e, oserei dire, pervasa da un tocco di poesia che consiste nel rispetto della sofferenza altrui, nella dignità che acquista il fatto di voler scegliere di mettere fine ad una vita che non è più vita. Forse è un parere strettamente personale ma il film non è così triste come potrebbe sembrare... anzi, la chicca finale l'ho trovata di ampio respiro, e ci si lascia con un tenero sorriso. Su questo mi piacerà confrontarmi con voi. 
Una serena, distaccata riflessione potrebbe portarci ad avere un rapporto meno conflittuale con la fine della vita: sappiamo bene che la nostra è anche una questione culturale viziata però da messaggi inneggianti l'onnipotenza assoluta... 
"Miele" è liberamente tratto dal romanzo di Mauro Covarich "A nome tuo". Regia e fotografia notevoli. Jasmine Trinca sostiene magistralmente primi piani intensi ed assoluti. Carlo Cecchi è un grande attore che viene dal teatro. 
Se posso, per chi non l'avesse letto, vorrei consigliare un bellissimo libro assolutamente in tema: "Abbacadora" di Michela Murgia. 
Simona Ciammaruconi

3 commenti:

  1. Ciao Simona, ho apprezzato il film e condivido gran parte di ciò che hai espresso nel tuo articolo.
    Ci sono solo un paio di cose sulle quali sono perplesso. Tu dici che il rapporto della protagonista col padre è sereno, io l'ho percepito diversamente. Non è conflittuale ma a mio avviso il film lascia percepire come un vuoto, una mancanza di qualcosa che lei desidererebbe e che invece non c'è. Nel senso che mi è sembrato un rapporto tranquillo ma distaccato e da alcune espressioni di lei ne ho dedotto una richiesta di maggiore empatia. Ed è proprio quest'ultima che magari trova nel rapporto coll'ingegnere.
    Inoltre non mi è sembrato che il suo amante la maltratti perché ha capito la sua attività: l'ho invece interpretata come un'esplosione di gelosia che covava già da diverse scene.
    A parte ciò, come ho già detto, mi sento fondamentalmente in sintonia con il tono generale della recensione. Ciao, Pier

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Simona Ciammaruconi30/5/13

      Ho riflettuto sulle tue osservazioni ma ritengo che il rapporto coi padri per quanto travagliati nella giovinezza, ad un certo punto, con la maturità diventano tranquilli anche se distaccati: le parti in causa hanno elaborato, metabolizzato e perdonato le reciproche incomprensioni. Mi pare sia umanamente giusto e mi pare anche che Miele abbia col padre un rapporto dolciotto senza retropensiero. Quanto al fidanzato, i suoi sospetti non lo portano a scoprire un tradimento di lei che invece gli rivela candidamente la sua attività. A quel punto lui che sembrava un dolcissimo amante, creativo e appassionato la butta fuori dalla macchina senza aprirsi ad un confronto, rivelandosi maldestro ed improvvisamente estraneo. Difatti esce di scena. La gelosia è altra cosa. Questo, il mio pensiero.

      Elimina
  2. E brava Valeria Golino.
    Alla prima prova da regista si misura con un tema scottante e rischioso come quello dell’eutanasia ed affida all’espressività ed alla gestualità di J. Trinca (che si era già cimentata in una prova difficile nell’ultimo film di G. Diritti, “Un giorno devi andare”) il compito di avvicinare anche noi al tema della morte, tabù dei nostri tempi. Carlo Cecchi, dal canto suo, riesce sempre in ogni sua interpretazione.
    La morte come scelta non solo in caso di malattia ma anche quando abbiamo ancora il possesso del nostro corpo ma non più una valida ragione per alimentarlo.
    Le parti dialogate, alla cui stesura ha partecipato la stessa Golino (così come al soggetto), appaiono solide anche se non esaustive. Molto è lasciato agli sguardi, alle situazioni, alle immagini (belle le inquadrature così come la fotografia), alla musica (le voci di D. Byrne e di T. Yorke si riconoscono alle prime note) ed alle sensazioni che ne derivano. Forse una scrittura più articolata avrebbe rischiato di appesantire un film come questo, il quale, nella sua drammaticità, non risulta affatto pesante.
    Irene (nome di ‘battaglia’ Miele) capisce veramente il senso profondo della morte grazie all’ingegnere, il quale, a sua volta, proprio tramite lei (triste e solitaria, come lui stesso la definisce) trova il coraggio di compiere lucidamente, da sé, l’estremo gesto incontrando la morte - salvezza da una vita oramai inutile perché già spesa.
    Continuerà la protagonista ad immergersi nel mare e nuotare fino a far battere troppo il suo cuore, ascolterà ancora la stessa musica rinchiusa nelle cuffie del suo i-pod o saprà aprirsi veramente - come sembra nel finale - ad un nuovo senso della vita proprio grazie all’esperienza della morte vissuta con l’ingegnere?

    RispondiElimina