3 maggio 2013

FILM AL CINEMA - "Oblivion" di Joseph Kosinski

Esplicitamente debitore nei confronti di tanto immaginario cinematografico fantascientifico, "Oblivion" trova la sua strada nell'edificazione di un plot e di una nuova mitologia in modo intenzionalmente manierista e postmoderno, non rinunciando però all'ambizione della solennità narrativa e della rappresentazione simbolica.
Film dalle atmosfere dense e suggestive, merito di una messinscena estremamente calibrata, capace di valorizzare al massimo la potenzialità evocativa del mezzo cinematografico attraverso la combinazione tra scenografie di grande fascino, resa figurativa delle immagini, recitazione degli attori e uso della colonna sonora. Anche la scrittura è attenta, con dialoghi appropriati ed uso efficace della voce over. Il ritmo è teso ed è già un bel risultato se si pensa che gran parte della vicenda si svolge con pochi personaggi in scena in un'ambientazione spoglia e disabitata. Si respira un clima cupo e sottilmente angoscioso ma non al punto da diventare disturbante, limitandosi ad insinuare nello spettatore la suspense: si percepisce chiaramente fin da subito che il percorso che il protagonista deve affrontare ha a che vedere con la discesa nell'intimità di se stesso e con la ricerca della verità.
In questo afflato esistenziale "Oblivion" trova la sua maggiore forza espressiva, che, al di là dei riferimenti esteriori più diretti al livello visivo e tematico, si può nello spirito far risalire ad una sorta di richiamo incrociato alla dimensione archetipica di un western di Leone, evidente soprattutto nella caratterizzazione iconica dei personaggi, unita all'astrazione allusiva del Kubrick di "2001: Odissea nello spazio". Senza con questo voler affermare che il film di Kosinski raggiunga il valore dei capolavori dei registi citati ma trova comunque un posto di rilievo nel tentativo riuscito di percorrere la strada di un cinema di genere e d'autore nello stesso tempo, declinato nel qual caso all'interno della fantascienza "filosofica". Ed è proprio nella dimensione simbolica, puramente evocativa e non metaforica, che l'opera raggiunge il risultato più alto: rimandando quindi direttamente al mistero della vita, senza offrire chiavi di lettura troppo rigidamente determinate.
Pier

2 commenti:

  1. Sicuramente un film che ha propositi 'indagatori' dell'inconscio. Per questo carpisce l'attenzione dello spettatore curioso nonostante il grigiore costante delle sue atmosfere (che però non appesantisce mai la narrazione).
    Qua e là trovate un po' troppo 'yankee' (dal cappellino da baseball al chewingum). Ma debbono ritenersi - forse - inevitabili.

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    1. ...le trovate "yankee" a cui fai riferimento le considero anch'io come facenti parte del contesto culturale dal quale prende le mosse il film (il cinema di genere hollywoodiano) e quindi non do loro grande importanza...rimangono elementi marginali che non influiscono sul complesso della narrazione...

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