28 ottobre 2013

FILM AL CINEMA - "Anni felici" di Daniele Luchetti

Anni (in)felici quelli descritti da Daniele Luchetti nel suo ultimo film, dopo il convincente "Mio fratello è figlio unico" (dal taglio politico-familiare) ed il più tiepido "La nostra vita" (dal taglio, invece, social-familiare). Questa volta l’autore romano si spinge oltre e narra di sé e della sua famiglia con un racconto semplice, dallo stile asciutto, rappresentando una sorta di reportage intimo di una sgangherata famiglia degli anni ’70, specchio di moltissime altre.
Tradimenti mal sopportati, frustrazioni ereditate da genitori troppo severi e dalle quali si fatica ad emergere, famiglie piccolo-borghesi dalle quali fuggire a gambe levate per inseguire la propria personale idea di felicità, difficilissima da conquistare, ma che, una volta accaparrata, diventa dolore e riscoperta di sé ad un tempo.
Un viaggio catartico del bravo Daniele Luchetti in un’infanzia non troppo gioiosa (se non nei ricordi posteriori), quando la famiglia sembrava quasi più facile da vivere, come alla portata di tutti, ma che poi troppo spesso celava nella sua pancia anni (in)felici fatti di profondo travaglio interiore e di pesante insoddisfazione compressa.
Guido (un Kim Rossi Stuart dagli occhi fortemente espressivi) e Serena (un’insolita ma brava Micaela Ramazzotti) sono e restano diversi, distanti l’uno dall’altra sin dall’inizio del film: il lento disfacimento della loro relazione coniugale avviene sotto gli occhi vigili dei due figli piccoli e, soprattutto, di quelli del più grande Dario (alter ego del regista) la cui cinepresa raccoglie in super 8 le immagini di quell’unione che man mano si sgretola.
Le inquadrature seguono il ritmo della narrazione, tanti gli abbracci ed i baci (che servono a poco), molti i primi piani e le riprese di profilo in cui ogni volto testimonia, a suo modo, il dramma domestico, magari riuscendo a strapparci anche qualche sorriso. In questo giocano un ruolo decisivo i due bambini. Eppure nemmeno il gesto di denuncia forte e dirompente di Dario riuscirà veramente a scuotere i due genitori e ad attirare su di sé la loro attenzione, come a risvegliare le loro coscienze, in quanto troppo ripiegati su sé stessi e sui propri conflitti interiori irrisolti.
Alla fine rimarrà poco o niente a legare saldamente Guido Serena: la felicità resterà solo nel pensiero - necessario ed autentico al tempo stesso - di chi poi, dietro la macchina da presa, coglierà l’occasione per raccontarsi.
AleLisa

1 commento:

  1. Il film trovo sia interessante soprattutto come affresco di un'epoca e dei suoi fermenti, seppur osservati con uno sguardo chiaramente nostalgico. Concordo in buona parte con la recensione, che propone un punto di vista chiaramente orientato e coinvolgente.

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