27 febbraio 2017

CINEMA D’ESSAI - Confronto tra “Dodes'ka-den” di Kurosawa Akira (Giappone 1970) e “Brutti, sporchi e cattivi” di Ettore Scola (Italia 1976)

Nella storia del cinema certe volte accade che, a distanza di pochi anni, due registi, di due paesi molto lontani tra loro e pertanto appartenenti a linguaggi cinematografici diversi, affrontino, per una singolare coincidenza, film dalle tematiche ed ambientazioni molto simili. Il confronto a questo punto diventa oltremodo stimolante, dal momento che se ne possono evidenziare non tanto eventuali somiglianze ma singolari differenze nella trattazione di un tracciato comune.
Questo è il caso di Dodes'ka-den di Kurosawa Akira (Giappone 1970, tratto dal romanzo di Yamamoto Shūgorō Kisetsu no nai machi, in italiano La città senza stagioni), che anticipa di sei anni il film di Ettore Scola Brutti, sporchi e cattivi (Italia 1976). Difficile ipotizzare una possibile influenza sul regista italiano da parte di quello giapponese, facile immaginare piuttosto un’attenzione di entrambi a delle tematiche attuali per la società dell’epoca. Sia il Giappone che l’Italia infatti, dopo essere usciti sconfitti dal secondo conflitto mondiale, avevano vissuto un periodo iniziale di boom economico, incentivato e sostenuto dai fondi statunitensi del Piano Marshall, che, se da un lato portarono l’economia dei rispettivi paesi ad una fase di notevole crescita, dall’altro causarono delle fratture sociali, inevitabili quanto evidenti soprattutto nelle periferie e nelle borgate delle grandi città.
Una perdita delle tradizioni, di tutti i valori pre-guerra, a vantaggio di un consumismo feroce, di una brama bulimica di denaro e di un carrierismo rampante trasformarono ogni cittadino in un cliente, avido di beni di consumo, dominato dalla pubblicità e dai media in generale. Questo fenomeno si amplifica e si ingigantisce nelle zone e nelle aree urbane più povere. 
Eppure, se la baraccopoli di Kurosawa (ambientata sul finire degli anni ‘50) ha un che di epico, di nobile e di poetico nei personaggi, se anche nelle situazioni di peggiore indigenza è l’umanità, la solidarietà dei personaggi che emerge ad illuminare lo squallore dell’umano vivere, in quella di Scola (ambientata negli anni ‘70) i personaggi sono caricature di se stessi, il comico si tramuta in grottesco e in nessuno vi è il benché minimo barlume di bontà e dignità.
Kurosawa rappresenta la baraccopoli come luogo catartico della società moderna, i personaggi positivi commuovono e inteneriscono con la loro innocenza, bontà e ingenuità. Nel regista italiano la borgata è invece luogo da inferno dantesco dove sopravvivono solo demoni senz’anima dai peggiori appetiti e istinti, che lottano tra loro per un tozzo ammuffito di pane. Nel film giapponese le anime dei personaggi, immacolate e pure, hanno i piedi nel fango ma gli occhi al cielo ( evidente il richiamo agli insegnamenti buddhisti), in quello italiano le anime, nonché i piedi e gli occhi, sono tutti impastati della peggiore melma.
L’intento di entrambi i registi era probabilmente quello di denunciare il fenomeno della nascita delle borgate, dell’estrema indigenza e povertà di quella moltitudine di disperati che affollava le periferie urbane, di sottolineare i contrasti sociali e culturali che il dopoguerra aveva partorito: la modalità e l’esito dei due registi è tuttavia completamente diverso.
Danilo Giorgi

6 commenti:

  1. Ciao Danilo, è da circa un mese che scrivi articoli su Cinequale e trovo che abbiano arricchito il sito. In questo caso mi sento di intervenire sia perché almeno uno dei due film l'ho visto anch'io (quello di Scola) sia perché il confronto si presta a mio avviso ad una riflessione esistenziale: stando al tuo articolo mi sembrerebbe di poter dedurre che il film che può aiutare a vivere maggiormente dei due sia quello di Kurosawa...

    RispondiElimina
  2. Danilo Giorgi27/2/17

    Grazie per le tue parole, non saprei dirti se il film di Kurosawa aiuti di più o meno a vivere...credo tuttavia che ogni film, libro o creazione artistica sia un seme e se germoglia, fiorisce e fruttifica dipende dal terreno in cui cade...
    Danilo

    RispondiElimina
  3. AleLisa28/2/17

    Nelle mie prossime visioni terrò conto di questo film di Kurosawa. Sento comunque di poter condividere sin d'ora quanto affermato da Danilo. Infatti, in termini generali ogni seme che germoglia e crea vita in un terreno fertile non può che aiutare a vivere.
    AleLisa

    RispondiElimina
  4. AleLisa27/3/17

    Caro Danilo, anche in questo caso condivido il tuo pensiero
    Il taglio espressivo che A. Kurosawa dona ai suoi personaggi è così poeticamente visionario da conferire all'opera un colore acceso e vivido che nulla ha a che fare con il grigio plumbeo dell'ambientazione scenografica, quasi teatrale.
    Ogni personaggio è, a suo modo, positivo ovvero mai miseramente umano ma intensamente vivo. Inoltre il connubio, imprescindibile per il Maestro giapponese, tra immagini e suono, dialogo e recitazione, ci regala un'umanità quasi palpabile nella sua immediata e fresca semplicità.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie mille. Anche io ritengo che la caratteristica più interessante di Kurosawa consista nella forte espressività teatrale dei personaggi, carica di un eroismo epico.

      Elimina
  5. Conosco poco la cultura giapponese e, anche se la conoscessi bene, non potrei raggiungere le tue vette. Il Giappone è la tua "Patria Spirituale", come per me lo è la Russia. Abbiamo cominciato a studiare la lingua di questi paesi da soli, quando eravamo ancora al liceo, spinti da un richiamo interiore. Posso però parlare della periferia romana, rappresentata da Ostia, che entrambi conosciamo bene. Il dramma della periferia romana (non italiana: la periferia di Olmi è molto più lirica e delicata) consiste nel fatto che non esiste etnos e cultura che possano rendere l'individuo forte nella sua miseria, a Roma. La cultura è sempre stata elitaria e mai un fattore di unione. Il tipico homo periphericus romano è un miserabile senza radici e storia, accumunato ai suoi simili solo dall'invidia per chi sta meglio e sa di più. Questo dramma non tocca il "piccolo uomo" giapponese, che, come il "piccolo uomo" ebraico, non è mai solo: anche nella desolazione più profonda, in lui vivono i secoli vissuti dall'etnos come un eterno corpo.

    RispondiElimina