23 aprile 2012

FILM AL CINEMA - "Pollo alle prugne" ("Poulet aux prunes") di Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud

Dopo il riuscito “Persepolis”, Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud si lanciano in un nuovo film, nel quale, scomparsa l’animazione (anche se non del tutto), attori in carne ed ossa prendono la scena dando vita ad una graziosa commedia drammatica dai toni teneri e romantici, poetici e melanconici, fiabeschi ed umoristici.
Il protagonista Nasser Ali, celebre violinista di fama internazionale, decide di morire, aspettando la fine (che arriverà dopo appena otto giorni) sdraiato nel letto giorno e notte, fagocitato dalla noia e tormentato dai ricordi, stanco di una vita mai veramente vissuta se non nei soli momenti in cui il violino gli ha consentito di esprimere il sentimento per l’unica donna che ha amato (la bella Irane, perduta anni prima a causa del rifiuto del padre di lei di concedergli la sua mano). Un’esistenza, la sua, da quel momento in poi vissuta all’insegna dell’infelicità accanto ad una donna (Faranguisse) sposata senza convinzione e quindi mai realmente amata, nonostante sia la madre dei suoi due figli, il maschio Cyrus - distante dalla dolcezza dell’animo paterno - e la femmina Lili, l’unica della famiglia in sintonia con Nasser Ali. Anche la tenera Lili, infatti,  da adulta soffrirà profondamente per la morte del suo uomo scomparso prematuramente. Sarà proprio la moglie Faranguisse, perdutamente innamorata del marito fin dalla prima giovinezza, a rompere il violino nel corso di una lite (come se avesse intuito il prezioso segreto di quell’insostituibile strumento musicale) facendo così a pezzi per sempre il cuore del marito tanto da indurlo a suicidarsi.
Fa da sfondo alla tragica storia di Nasser Ali una Teheran del 1958, con le sue strade, i suoi vicoli polverosi ed angusti che consentono ai due registi di dare spazio ad una fantasia creativa fatta di rapide inquadrature, spesso simili a veloci scatti fotografici di immagini in continuo movimento. La storia del protagonista viene raccontata in un fluttuante andirivieni tra passato e presente, intervallato da oscuri presagi nonché da immagini surreali e favolistiche (come quella del fantasma della Morte). Il tutto arricchito da ironiche gag rappresentative della totale estraneità di Nasser Ali al contesto di vita da lui scelto consapevolmente (pur se dietro impulso della madre) ma senza alcun desiderio.
Neanche il suo piatto preferito (il pollo alle prugne con cui la moglie Faranguisse tenta di riconquistarlo) riuscirà a ricordargli la bellezza della vita, l’incanto e l’armonia dell’amore provato per Irane, che, incontrata per caso, finge inspiegabilmente di non riconoscerlo nonostante anche lei fosse stata perdutamente innamorata di lui tutta la vita e costretta dal padre a ripiegare su un matrimonio borghese ed insoddisfacente.
Il film piace e convince, più che per il pregio dell’opera in sé, per le emozioni che riesce ad evocare anche grazie alla musica di Olivier Bernet, la quale, con efficacia, contribuisce a raccontare i sentimenti che animano il protagonista. Nasser Ali ha conosciuto l’amore senza poterlo vivere ma ce ne fa assaporare il senso e la profondità con i suoi gesti, i suoi pensieri e le sue delicate fantasie (tra cui l’immagine di Sofia Loren, omaggio al cinema italiano). L’amore come un soffio, un sospiro che diventa musica vibrante e trascinante grazie alle corde di un violino. Quando il violino si romperà e smetterà, quindi, per sempre di suonare, porterà via con sé la linfa che lo pervadeva con le sue inconfondibili note fatte di puro sentimento. La vita diventerà allora insopportabile per Nasser Ali, un errore a cui porre rimedio solo con la morte.
AleLisa

1 commento:

  1. Interessante dal punto di vista narrativo e figurativo, il film verte su temi non certo originali, quali il fallimento di una vita priva di amore e la sofferenza come elemento costitutivo dell'arte. Sembra di assistere ad una riproposizione - aggiornata ad un linguaggio postmoderno - del celebre leitmotiv decadente del contrasto tra arte e vita: l’esistenza dell’uomo viene sacrificata all’arte, che scaturisce dalla sublimazione del dolore.
    Inoltre, nonostante la leggerezza di approccio (data dall’impianto visivo fumettistico, dalla fluidità del ritmo, dalla voce over che racconta e dai siparietti grottesco-surreali), il percorso del protagonista che si lascia morire è descritto con un certo compiacimento, che sollecita l’adesione emotiva (quando non l’empatia) dello spettatore, soprattutto se predisposto verso certi temi.
    A questo punto, aggirando le secche della proiezione identificativa ed assumendo un certo distacco, mi verrebbe la tentazione - supportata da un’evidente e consapevole forzatura critica - di leggere il film al contrario: come un invito a NON seguire le orme di Nasser Ali, a NON rassegnarsi ad un’esistenza priva di amore, a NON cercare nell’arte un rifugio dalle insoddisfazioni della vita reale. Ma non è una strada percorribile. La vicenda non consente una tale astrazione metaforica in quanto le motivazioni del fallimento del protagonista risiedono in gran parte nell’assetto storico-sociale rappresentato (la donna che ama gli viene negata in sposa dal padre di lei per questioni economiche).
    Resta quindi un’opera che veicola un punto di vista desolante sull’essere umano (e sull’arte) senza nemmeno concedere il beneficio di quella sublimazione catartica che ne è il tema centrale: pur con tutti i voli di fantasia, la storia raccontata resta in una dimensione di ordinarietà, di “realistica” quotidianità, un singolo caso che non accede ad una dimensione rappresentativa di più vasto respiro.
    Non direi che si tratta di un film che possa aiutare a vivere meglio.

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