6 dicembre 2012

FILM - "Spy Game" di Tony Scott

Abile intrattenitore di platee, Tony Scott dirige quello che, con un termine abusato, potrebbe essere definito un buon prodotto di artigianato, un’opera quasi paradigmatica nel rappresentare quel modello di qualità che non sempre Hollywood è in grado di garantire. "Spy Game" è uno di quei film che riesce a tenere desta l’attenzione dello spettatore per la sua intera durata: merito del ritmo incalzante, della suspense continua e di un suggestivo percorso narrativo.
L’azione si svolge nel 1991 tra gli Stati Uniti, Hong Kong e la Cina; il racconto è però intervallato da tre lunghe incursioni nel passato (la prima ambientata in Vietnam, la seconda nella Repubblica Federale Tedesca, la terza in Libano) che ricostruiscono il rapporto umano e professionale tra i due agenti segreti. La trama non è esente da inverosimiglianze (soprattutto nel finale) e i personaggi si rivelano piuttosto stereotipati ma l’impressione è quella del rischio calcolato, della dichiarata esibizione dei cliché hollywoodiani, quasi che il regista e gli sceneggiatori volessero dirci: "Fa parte del gioco: prendere o lasciare". La scarsa credibilità di alcune situazioni è infatti un tratto distintivo di più di una spy-story, mentre il confronto tra il "vecchio" e il "giovane", tra il "padre" e il "figlio", tra il "sergente" e la "recluta" è presente in molti film di genere, vecchi e nuovi. Robert Redford e Brad Pitt, dal canto loro, si producono in due prove corrette quanto anonime, riuscendo però a rendere i due protagonisti affascinanti al punto giusto.
Dal punto di vista formale il film fa ricorso ad una serie di procedimenti ad effetto, mutuati dal videoclip e dall’action-movie di Hong Kong: ralenti, accelerazioni improvvise, movimenti di macchina avvolgenti, angolazioni di ripresa inconsuete, montaggio nervoso. Piuttosto che una personale cifra stilistica, il regista si limita quindi ad elaborare una sintesi di materiali espressivi di seconda mano. L’impatto risulta comunque di indubbio vigore, grazie anche ad una martellante colonna sonora a base di ritmi elettronici.
Film d’intrattenimento dunque e di buon livello; godibile, a patto di stare al gioco e di non pretendere nulla di più. E a patto di non scandalizzarsi per l’implicito cinismo che si rivela nella scelta di utilizzare a fini esclusivamente spettacolari alcuni momenti drammatici della storia recente. D’altronde, come ben sappiamo, le regole che un certo tipo di spettacolo hollywoodiano impone allo spettatore sono piuttosto rigide: completa identificazione con i protagonisti, acritica adesione agli eventi narrati, coinvolgimento emotivo diretto. Prendere o lasciare.
Pier

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