19 aprile 2013

FILM AL CINEMA - "Hitchcock" di Sacha Gervasi

A prescindere dalla fedeltà o meno di quanto raccontato agli eventi reali (la sceneggiatura è tratta da un libro di Stephen Rebello), questo "Hitchcock" di Gervasi si fa apprezzare per la capacità narrativa che si rivela nello svolgersi dell'intreccio e per la leggerezza con la quale riesce a trattare temi quali il rapporto di coppia e le motivazioni che sottendono la creazione artistica. Certo, gli ammiratori del maestro del brivido probabilmente potranno avere una maggiore partecipazione emotiva nel vedere rappresentato sullo schermo l'ipotetico retroscena della lavorazione di "Psycho": in tal senso l'opera si indirizza già ad un pubblico in un certo senso selezionato ma gli spunti che mette in campo hanno una risonanza più ampia della semplice curiosità biografica.
Interessante, dal punto di vista esistenziale, la rappresentazione del talento creativo come sublimazione di pulsioni aggressive ed erotiche inespresse. E' evidente che il protagonista esprime una parte oscura di sé attraverso una curiosità quasi morbosa nei confronti della distruttività, che lo porta a scegliere il tema del suo film. Quello che la vicenda poi fa supporre è che nella lavorazione di quest'ultimo abbiano giocato non poco sia la gelosia nei confronti di un presunto amante della moglie che il vagheggiamento impossibile nei confronti dell'attrice protagonista. Frustrazioni, malesseri ed incertezze lasciate sottotraccia per buona parte della narrazione, coperte dall'aplomb - verrebbe da dire tipicamente britannico - con il quale vengono gestiti i rapporti umani, a partire da quello matrimoniale. Il grande regista viene più volte mostrato in difficoltà, dall'angoscia trattenuta alla malinconia accennata, fino a qualche esplosione nervosa (sempre in sottotono); dalle abbuffate compulsive di cibo in preda all'ansia all'assaggio di alcolici fatto di nascosto, fino alle difficoltà fisiche ed alla resistenza nei confronti di un lieve abbassamento di un tenore di vita estremamente lussuoso. Quindi la logica conclusione potrebbe riassumersi in un teorema già noto nel contesto contemporaneo: proprio grazie al malessere della sua vita reale l'uomo (di genio) realizza l'opera d'arte. Per chi crede che la vita vada comunque anteposta all'arte e che quest'ultima sia espressione della prima, al fine di arricchirla di ispirazione e significato, questo tipo di messaggio non risulta ovviamente incoraggiante.
Ma, per fortuna, in "Hitchcock" c'è di più. Il processo creativo ad un certo punto rischia di interrompersi proprio a causa dello stress al quale è sottoposto il regista dalla crisi del rapporto con la moglie: ed è proprio grazie alla riconquista dell'armonia di coppia che l'opera viene portata a compimento. Quindi si potrebbe dire che se l'arte può nascere dal malessere, è però grazie all'amore che si concretizza, almeno in questa vicenda. Il solipsismo conduce alla fine anche all'impasse creativa, mentre il riconoscimento dell'altro in un progetto condiviso fornisce l'energia necessaria a tradurre l'ispirazione nella realtà. Nonostante ciò, l'impressione che può restare al termine della visione è che un certo tipo di talento non aiuti a vivere chi lo possiede.
Al di là di queste considerazioni, il film è gradevole, ironico, nonchè diretto e fotografato con accuratezza. E soprattutto interpretato alla grande da Anthony Hopkins ed Helen Mirren, nei panni dei protagonisti, oltre che dagli altri attori che ruotano attorno a loro, tutti pienamente in parte.
Pier

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